Quante volte abbiamo sentito dire “destra e sinistra sono uguali, non c’è differenza”, “destra e sinistra sono categorie superate”. E quante volte abbiamo pensato che non valesse veramente la pena definirsi, prendere posizione, collocarsi in un luogo politico definito perché non lo si riconosceva, non se ne trovava il profilo, il quadro di riferimento valoriale, la sintesi tra idee e pratica delle cose della vita. Ed era giusto così, perché per decenni abbiamo assistito ad una rincorsa ai valori borghesi, centristi, conservatori da parte dei partiti di sinistra nella vana idea di non perdere il contatto con un elettorato che, al momento opportuno, si è rivelato inesistente.
Quando si è andati alla conta ci si è ritrovati con un elettorato che più che al centro lo si è trovato a casa propria in rancorosa astensione. E per la prima volta è andata al governo la destra. Lo so, ci sono stati i governi presieduti da Silvio Berlusconi ma quella era una destra affaristica dove contavano più gli intrecci tra politica e grande capitale che non le idee, i principi e l’etica.
Un tentativo di costruire una destra più identitaria l’abbiamo vista con il governo giallo/verde dove il collante tra il M5S e la Lega era l’attacco ai corpi intermedi dello Stato dal sindacalismo al volontariato passando per tutte quelle forme di aggregazione che chiedevano maggiore visibilità e rappresentanza.
Le ultime elezioni ci hanno, invece, lasciato nelle mani di una destra che non avevamo ancora visto all’opera. E’ la destra vera, quella che fonda le sue radici nel pantano fascista, sono gli eredi di quelli che stavano dalla parte sbagliata della storia, sono i figli e i nipoti di chi ha scelto di rimanere fedele ad un’alleanza e ad una visione egemonica del mondo che concepiva come unico sbocco la vittoria e la conquista. E qui la differenza, improvvisamente si è vista, tutta e tutta insieme.
Dopo quasi sei mesi dalla proclamazione del primo governo Meloni solo chi non vuol vedere non vede, solo chi vuole rimanere ancorato al vecchio stereotipo dei politici tutti uguali non si rende conto di quanto sta accadendo in questo Paese. Dai temi etici alla visione dell’istruzione con il richiamo al merito e alla logica del mero sbocco professionale del ruolo della scuola, dalla lotta alla povertà che la destra rappresenta più come una colpa che come una condizione sociale al collocamento internazionale acriticamente atlantista e fortemente identitaria in una versione antieuropea neanche tanto nascosta dalla sterile difesa della lingua italiana con la minaccia di sanzioni per l’uso di termini stranieri (salvo chiamare del “made in Italy” uno dei ministeri) al revisionismo storico praticato ad ogni occasione o ricorrenza. Insomma l’armamentario reazionario ha avuto modo in questi mesi di essere ben esposto sulle bancarelle del mercato politico nostrano.
Per ora la mercanzia bancarellara della destra sembra essere ancora appetibile per l’opinione pubblica italiana e non solo. Evidentemente l’adesione alle regole del capitalismo da parte dei partiti di sinistra anche nella sua veste iper liberista avvenuta paradossalmente proprio mentre la versione globalista del capitale aggravava le diseguaglianze sociali, estendeva le sue fameliche mani sulle risorse naturali con il conseguente aggravamento anche delle condizioni climatiche e ambientali ha allontanato l’elettorato dalla prospettiva progressista.
Dopo gli anni ’90 che hanno visto in Europa governi come Prodi e D’Alema in Italia, Jospin in Francia, Blair nel Regno Unito, Schröder in Germania nonché Clinton alla Casa Bianca non solo in Italia ma un po’ ovunque la crescita delle disuguaglianze, la disparità fiscale, la precarietà del mondo del lavoro, temi che avrebbero dovuto accelerare la spinta a un riformismo di segno sociale se non socialista per la sinistra ha finito per corrispondere alla perdita dell’appoggio dei ceti popolari.
A questo punto, di fronte ad una destra che fa del nazionalismo e della xenofobia la cifra del suo programma di governo, la sinistra o quello che ne rimane, dovrebbe elaborare una proposta che risulti più credibile sia di quanto proposto da questo governo sia di quello che è stata capace di produrre negli ultimi decenni. Non dovrebbe essere molto difficile ma vista la caratura dell’attuale classe dirigente progressista i dubbi sono più delle certezze.