E quindi la NATO compie 75 anni. L’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord è stata, infatti, costituita nel 1949 con il Trattato di Washington, firmato il 4 aprile di quell’anno. Era da poco terminata la Seconda guerra mondiale, l’attuazione degli accordi di Jalta che hanno di fatto posto le basi per la successiva divisione dell’Europa in zone di influenza con l’allora URSS, prendeva forma (il definitivo assetto ci ebbe stato soltanto con la costruzione del muro a Berlino nel 1961 voluto da Stalin). In quel momento storico, in presenza di una netta contrapposizione tra i due blocchi, sembrò un atto dovuto quello di unire le nazioni su entrambe le sponde dell’Atlantico in un patto non solo di non belligeranza tra i suoi membri ma difensivo rispetto ad attacchi che potessero avvenire a scapito di uno o più Stati aderenti. L’articolo 5 del Trattato di Washington stabilisce, infatti, che un attacco armato contro uno o più membri della NATO è considerato un attacco contro tutti i membri. In tal caso, ciascun membro prenderà le misure necessarie, incluse le forze armate, per ristabilire e mantenere la sicurezza dell’area nord-atlantica. Durante la Guerra Fredda, pertanto, la NATO mirava a contenere l’espansione dell’influenza sovietica in Europa e a dissuadere eventuali attacchi sovietici contro i paesi membri.
Le finalità del Trattato sembrerebbero essere ben chiare e definite. Ciò nonostante e nell’assoluta assenza di opposizione, la NATO negli anni ha mutato la sua natura divenendo sempre di più uno strumento nella disponibilità del suo socio di maggioranza, l’Amministrazione USA. Ci si sarebbe dovuto chiedere infatti cose c’entrasse con la difesa dei Paesi membri l’operazione Deny Flight che vide l’organizzazione impegnata tra il 1993 e il 1995 nella guerra in Bosnia Erzegovina e ancor più nel 1999 con l’operazione Allied force nel Kossovo, con buona pace della sinistra italiana al tempo del governo con D’Alema, e cosa ci fosse di difensivo e di atlantico nella disastrosa missione ISAf in Afghanistan per citare solo alcune delle tante campagne militari che hanno visto coinvolte truppe NATO.
Un capitolo a parte spetta al ruolo della Turchia nell’ambito del Trattato. Il suo ruolo nella NATO è stato spesso caratterizzato da ambiguità e complessità a causa di una serie di fattori storici e geopolitici. La Turchia occupa una posizione geografica strategica, situata al crocevia tra Europa, Asia e Medio Oriente. Questo rende la Turchia un membro cruciale della NATO per quanto riguarda la sicurezza regionale e la proiezione di potenza verso il Medio Oriente e il Mar Nero. La base aerea di Incirlik in Turchia è stata di fondamentale importanza per le operazioni della NATO, in particolare per le missioni in Iraq e Afghanistan. A causa di questa importanza strategica è stato consentito alla dirigenza di Ankara una discrezionalità nelle decisioni politiche e strategiche che nessun altro Paese membro ha. Ne sia di esempio il fatto che la Turchia ha acquistato il sistema di difesa aerea S-400 dalla Russia, causando preoccupazioni all’interno della NATO riguardo alla compatibilità con i sistemi di difesa dell’Alleanza e sollevando dubbi sulla fedeltà della Turchia agli standard dell’Alleanza. Le operazioni militari della Turchia in Siria contro le forze curde, considerate alleate degli Stati Uniti nella lotta contro l’ISIS, hanno creato tensioni significative tra Ankara e Washington, così come con altri membri NATO. La disputa con la Grecia e Cipro sulle questioni del Mediterraneo orientale, inclusa la ricerca di gas naturale, ha portato a confronti militari e diplomatici all’interno dell’Alleanza. Utile sarebbe stato, se ne fosse esistita la volontà, utilizzare questa libertà di manovra concessa alla dirigenza turca per sfruttare i buoni rapporti che Recep Tayyip Erdoğan continua a mantenere con Vladimir Putin e trovare una soluzione alla crisi ucraina ma un accordo tenacemente ottenuto dal presidente turco fu fatto fallire sembra per volontà dell’allora capo del governo britannico Boris Johnson.
Un altro capitolo interessante è quello del rapporto tra la NATO e la Russia dopo la fine dell’URSS. L’idea che la Russia potesse entrare nella NATO è stata discussa in diverse occasioni dalla fine della Guerra Fredda, ma non si è mai concretizzata in un processo formale di adesione. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, ci furono discussioni iniziali e speculative riguardo alla possibilità che la Russia potesse unirsi alla NATO come parte di un più ampio sforzo per integrare la Russia nel sistema di sicurezza europeo e globale. Boris Eltsin, il primo presidente della Russia post-sovietica, sollevò questa idea in una lettera del 1993 al presidente degli Stati Uniti Bill Clinton. Sebbene non sia stata offerta una vera e propria adesione, la Russia aderì al programma “Partnership for Peace” della NATO nel 1994, che mirava a costruire fiducia tra la NATO e altri stati europei, inclusa la Russia. Anche Vladimir Putin, nel corso dei primi anni del suo mandato, menziona la possibilità di un’adesione della Russia alla NATO durante alcuni incontri con leader occidentali. Tuttavia, queste discussioni non portarono a progressi concreti verso l’adesione. Negli anni successivi, specialmente dopo il 2004 con l’allargamento della NATO ad includere ex stati del Patto di Varsavia e repubbliche ex sovietiche, e ancor più dopo il conflitto russo-georgiano del 2008 e l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014, le relazioni tra la Russia e la NATO si deteriorarono definitivamente. Vedendo come si è evoluta la situazione internazionale e quale punto di scontro sta registrando l’attuale conflitto in Ucraina c’è da chiedersi se sia stata una buona idea aver portato i missili NATO fino al confine con la Russia anziché favorirne l’adesione.
Se la NATO ha ancora una ragion d’essere (il presidente francese Macron la definì in “stato di morte cerebrale” il 7 novembre 2019 in una intervista all’Economist) la si dovrebbe perlomeno sganciare dalle finalità difensive e avere il coraggio di ridefinirla come unione militare a difesa degli interessi occidentali e, in primis, del suo membro più influente. Il perbenismo con il quale si è continuato a considerare la NATO indispensabile per la difesa da un non meglio identificato nemico mentre le sue truppe venivano schierate nei teatri di crisi e di guerra più disparati a difesa unicamente degli interessi economici del blocco occidentale ha consentito di non porsi una domanda che le parole di Macron del 2019 avrebbero dovuto mettere al primo posto dell’agenda dei principali membri dell’Alleanza: ha ancora senso la NATO come organizzazione?
Il festeggiamento per i 75 anni della sua costituzione sarebbero stati un’ottima occasione per porsi il problema. Purtroppo, ancora una volta, si è andati nella direzione opposta: più armi, più guerra, più impegno economico. E ancora una volta la grande assenza in questo dibattito (a patto che lo si voglia chiamare dibattito e non dictat a stelle e strisce) è l’Europa. L’assenza di una comune visione internazionale, di un pur minimo comune interesse strategico ed economico ha fatto dei singoli stati membri piccoli nani accodati al solito pifferaio magico. In questa nuova guerra fredda tra blocchi la Comunità europea farà la parte del vaso di coccio tra tanti vasi di ferro, non era così che l’avevano pensata i padri fondatori.
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