La morte di Bergoglio segna una perdita significativa non solo per il cristianesimo, ma anche per il mondo islamico. Il defunto capo della Chiesa cattolica lascia dietro di sé una potente eredità di convivenza e dialogo interreligioso, avendo intrapreso azioni coraggiose e senza precedenti per costruire ponti con le comunità musulmane. Questo costante impegno ha sfidato secoli di divisione e ha gettato le basi per un dialogo significativo e duraturo, fondato su risultati concreti piuttosto che su vuota retorica.
Ravvivare lo spirito delle fedi abramitiche
Fin dall’inizio del suo pontificato, nel 2013, Papa Francesco ha posto l’accento su un messaggio di pace e inclusività. Ha respinto le narrazioni di superiorità religiosa e ha sottolineato i valori condivisi tra le grandi religioni del mondo. Il suo storico viaggio ad Abu Dhabi nel 2019, dove ha firmato il Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune insieme al Grande Imam della Moschea di Al-Azhar in Egitto, lo sceicco Ahmed El-Tayeb, è stato un momento decisivo. Ha segnato la prima visita papale nella Penisola Arabica e ha trasmesso un potente messaggio di unità, dialogo e comprensione reciproca tra cristiani e musulmani.
Durante il suo mandato, Papa Francesco ha compiuto numerosi sforzi per raggiungere i leader del mondo islamico. Ha incontrato importanti personalità religiose e politiche in paesi come Egitto , Iraq , Turchia , Marocco e Kazakistan, rafforzando ogni volta il messaggio che il dialogo, non la divisione, deve definire il futuro delle relazioni tra cristiani e musulmani.
Nel 2021, Papa Francesco è diventato il primo papa della storia a visitare l’Iraq, un Paese profondamente colpito dalla guerra, dal settarismo e dalla brutale campagna dello Stato Islamico (IS). Il suo incontro con il Grande Ayatollah Ali Al-Sistani, uno dei più influenti religiosi sciiti al mondo, è stato un momento rivoluzionario. Ha sottolineato il suo impegno a dialogare sia con la corrente sciita che con quella sunnita dell’Islam, ampliando la portata del dialogo cattolico-musulmano.
In particolare, la visita del defunto Pontefice al luogo di nascita di Abramo, Ur, dove si sono riuniti importanti leader religiosi di diverse fedi abramitiche, ha offerto un potente simbolo di unità interreligiosa. L’evento ha sottolineato il patrimonio spirituale condiviso di queste tradizioni e ha evidenziato il potenziale della collaborazione religiosa nell’affrontare le sfide globali della vita moderna.
L’eredità di Papa Francesco risiede anche nel modo in cui ha cambiato il tono dell’impegno cattolico nei confronti dell’Islam, passando dal confronto teologico alla solidarietà umana. Ha costantemente condannato l’islamofobia, ha difeso il diritto dei musulmani a praticare liberamente la propria fede e ha esortato i cristiani ad accogliere i musulmani come fratelli e sorelle in umanità.
Ampliare il dialogo oltre le linee settarie
Storicamente, il Vaticano si è concentrato soprattutto sui suoi fedeli e sulla maggioranza sunnita del mondo musulmano.
La comunicazione e il dialogo tra il Vaticano e importanti istituzioni e figure sunnite, come Al-Azhar, iniziarono poco dopo l’istituzione del Segretariato per i non cristiani , oggi noto come Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, da parte di Papa Paolo VI nel 1964. Tuttavia, fino a poco tempo fa, non c’era quasi nessun impegno significativo tra il Vaticano e il mondo sciita.
L’Istituto Al-Khoei è stato un pioniere nel colmare questo divario, avviando iniziative di sensibilizzazione e costruendo gradualmente solidi legami tra l’Islam sciita e il cattolicesimo. Un importante catalizzatore di questo rapporto è stata la Comunità di Sant’Egidio, che ha collaborato strettamente con l’Istituto Al-Khoei per facilitare il dialogo.
Nel 2015, il Vaticano ha ospitato un ciclo di dialogo cattolico-sciita senza precedenti , a cui ha partecipato anche l’autore di questo articolo. Queste discussioni hanno riunito eminenti esponenti del clero di entrambe le fedi e hanno permesso di raggiungere una visione condivisa sulle principali sfide globali. La partnership si è sviluppata rapidamente, svolgendo infine un ruolo fondamentale nel facilitare la storica visita di Papa Francesco a Najaf nel 2021 per incontrare il Grande Ayatollah Sistani.
Quella visita segnò una svolta fondamentale. Sebbene una visita papale in Mesopotamia fosse stata presa in considerazione fin dagli anni ’90 – in particolare da Papa Giovanni Paolo II – fu ripetutamente rinviata a causa della situazione politica sotto l’ex leader iracheno Saddam Hussein (1979-2003) e, in seguito, per motivi di sicurezza. È importante sottolineare che nessuno di quei piani precedenti prevedeva una visita a Najaf o un dialogo con la leadership religiosa sciita con sede nella città sacra. Quei piani si concentravano invece sui luoghi santi cristiani e sulla minoranza cristiana in Iraq.
È stato solo grazie al dialogo continuo e alla fiducia instaurata tra il Vaticano e le principali istituzioni sciite, in particolare l’Istituto Al-Khoei, che lo storico incontro tra Papa Francesco e il Grande Ayatollah Sistani è diventato realtà, simboleggiando un nuovo capitolo nelle relazioni tra cattolici e sciiti.
Due anni dopo la sua visita, Papa Francesco scrisse di guardare all’Iraq con “speranza” e di non riuscire a immaginare il Paese senza cristiani. Considerava il suo “importante” incontro con la suprema autorità religiosa sciita a Najaf un “messaggio intenzionale” al mondo: la violenza in nome della religione è un insulto alla religione stessa.
È importante sottolineare che nel 2015 il Vaticano ha riunito separatamente figure chiave sciite e sunnite irachene in un momento in cui l’Iraq stava affrontando una delle sue più gravi crisi settarie. Con l’ISIS che controllava quasi un terzo del Paese e la tensione tra sunniti e sciiti al suo apice, l’iniziativa era senza precedenti e di grande rilevanza.
Gli sforzi del Vaticano nel facilitare il dialogo hanno svolto un ruolo cruciale nell’attenuare le ostilità settarie e nel promuovere una visione religiosa condivisa tra i leader iracheni. L’iniziativa ha dimostrato che il dialogo interreligioso può andare oltre i confini tradizionali, aiutando i leader religiosi ad affrontare non solo le sfide interreligiose, ma anche i conflitti interni alle proprie tradizioni. Soprattutto, ha creato un precedente significativo su come la “diplomazia religiosa” possa contribuire alla riconciliazione nazionale e alla stabilità in tempi di profonda divisione e crisi.
Il commento di Luciana Castellina
In questo momento di grande tristezza per tanti nel mondo, una moltitudine di cui faccio parte anche io, di una cosa almeno sono contenta, anzi fiera: che sia stato il nostro Manifesto nel 2016 a pubblicare e a distribuire insieme al quotidiano un libro che contiene uno dei più belli, e più significativi, discorsi di Bergoglio.
E questo in un tempo in cui ancora era possibile che altra pur paludata stampa uscisse con titoli come questi: «Papa Francesco benedice i centri sociali»; «Bergoglio incontra il Leoncavallo»; «Zapatisti, marxisti, Indignados, tutti dal papa». (In seguito capirono che era troppo impopolare ricorrere a questo tono di ironico sprezzo quasi che Papa Francesco fosse un secondario personaggio qualsiasi, sicché si corressero un poco).
Il libro di cui il nostro giornale si fece editore uscì in occasione dell’Incontro mondiale dei movimenti popolari (Emmp) a Roma, presenti fra gli altri un singolare e fino a poco prima presidente dell’Uruguay e prima guerrigliero Tupamaros, Pepe Mujica, la ben nota Vandana Schiva, assente invece l’invitato Bernie Sanders perché impegnato nella campagna elettorale americana. Più 99 organizzazioni di 68 paesi, una lista più o meno coincidente con quella dei movimenti che hanno partecipato ai nostri Forum Mondiali dei tempi di Porto Alegre, fra questi non a caso i Sem Terra brasiliani e il loro leader Stedile, analoghi i temi in discussione: ecologia, beni comuni, salario universale.
All’appuntamento dell’anno precedente tenuto in Bolivia l’allora presidente Evo Morales aveva regalato al Pontefice venuto fino a laggiù per presiedere l’incontro una croce composta da una falce e un martello, e si potrebbe dire che quella singolare composizione lignea già a Roma sembrava tacitamente diventata il distintivo degli Emmp.
Ho scritto «si potrebbe dire» perché so che bisogna fare attenzione. E però non si può non prendere atto che il pontificato di Francesco ha impresso alla politica vaticana una svolta di sostanza molto forte e chiara. Bergoglio non è stato infatti solo un papa più caritatevole, impegnato a esaltare generosità e sacrificio.
Il messaggio del suo pontificato è stato direttamente politico, innanzitutto perché ha avuto il coraggio (che ahimè spesso manca a parte della stessa sinistra laica) di indicare con chiarezza il nemico, il colpevole dell’ingiustizia – «quella struttura ingiusta», dominata dal «primato del danaro che collega tutte le esclusioni», «rende schiavi, ruba la libertà», «mitizza il progresso infinito e l’efficienza incondizionata». Il capitalismo, insomma.
La novità principale non sta solo nel vigore della denuncia dello stato delle cose presente, ma nell’identificazione di un nemico storicamente esistente, e, dunque alle contraddizioni che spaccano inevitabilmente la società e che impongono il dovere della lotta se si vogliono superare. Non si possono ignorare (potrebbe non essere la nostra vecchia lotta di classe, ma non si può pensare che il conflitto sia scomparso).
È anche per questo che mi pare così importante l’insistenza di papa Francesco sulla necessità di quanto in questi ultimi decenni si è indebolito: la soggettività, la costruzione di un protagonismo del necessario agente del cambiamento, oggi addomesticato, anestetizzato. La soggettività, insomma.
Agli sfruttati, alle vittime del sistema, il papa adesso si rivolge per invitarli a non restare «a braccia conserte», a «passare – come dice il documento conclusivo dell’incontro di Roma – dalla fase della resistenza a quella dell’appropriazione del potere politico, dalla lotta sociale alla lotta elettorale».
Detta in due parole: capire che la solidarietà è autentica solo se si accompagna alla lotta. E perciò è indispensabile passare dalla carità alla politica, che quelle contraddizioni deve saper superare ma non ignorare. La frase più esplicita e polemica del papa è proprio questa: «Non serve una politica per i poveri, ma una politica dei poveri». O, come ha ancor più esplicitamente dichiarato parlando ai giovani: «Ragazzi, la carità è una bella cosa, ma serve la politica». Quanto stava a cuore anche a Carlo Marx e dovrebbe stare molto più di quanto non sia all’attenzione della sinistra, oggi.
