Se pensavate che trasformare un videogioco senza trama in un lungometraggio fosse un’operazione disperata, ecco servito Un film Minecraft. L’epopea cubica diretta da Jared Hess arriva nelle sale dopo un decennio di gestazione travagliata, cambi di regia e innumerevoli riscritture. Il risultato è un’opera che brilla tecnicamente ma arranca narrativamente, cavalcando il successo planetario del videogioco più venduto di sempre. Motivo per cui ve lo descrivono come una sorta di Santo Graal dell’intrattenimento videoludico: il videogioco intelligente che fa bene. Piace ai minori ma anche ai genitori. Cosa che implicitamente vuol dire che si può giocare per decine di ore di fila a Minecraft senza cadere preda di un attacco di epilessia o almeno di rimbecillimento duro (ah, se solo fosse vero).
I fan più giovani conoscono il gioco e quindi troveranno pane per i loro denti, tra una citazione e l’altra, una strizzata d’occhio e un “double entendre“, come si dice. Invece, gli adulti al seguito e i giovani adulti in missione esplorativa (e nostalgica di quando i PC erano meno intelligenti di un pappagallo) potrebbero ritrovarsi a contemplare questioni ben più profonde di quelle che appaiono sullo schermo. Se faranno lo sforzo di cercare di distillare e decodificare una storia da una serie di montagne di cubi e poco altro.
La storia segue Steve (Jack Black), un venditore di pomelli per porte dell’Idaho che abbandona la sua esistenza grigia per esplorare le miniere della sua infanzia. Il suo viaggio lo porta nell’Overworld, un mondo cubico dove la creatività non ha limiti e dove vive felicemente con il suo lupo Dennis fino all’arrivo della malvagia strega Piglin Malgosha (Rachel House). Quando la sorceresse rapisce Steve, quattro improbabili eroi vengono risucchiati nell’Overworld: Henry (Sebastian Hansen) e sua sorella Natalie (Emma Myers), orfani di madre; Garrett “The Garbage Man” Garrison (Jason Momoa), ex-gamer professionista caduto in disgrazia; e l’agente immobiliare Dawn (Danielle Brooks). Insieme, questo gruppo di disadattati (un classico della cinematografia, da Steven Spielberg e George Lucas in su) dovrà salvare Steve e, naturalmente, l’intero Overworld.
L’America nascosta nei cubi
La cornice narrativa che collega il mondo reale a quello di Minecraft è sorprendentemente rivelatrice. Hess non mostra grattacieli o metropoli incasinate, bensì un’America provinciale, dimenticata e in declino. I protagonisti non sono brillanti professionisti urbani ma persone ordinarie schiacciate da problemi economici, lutti e sogni infranti. La cittadina dell’Idaho dove tutto ha inizio sembra sospesa nel tempo, un luogo dove le opportunità scarseggiano e il futuro appare incerto. Tutti elettori di Trump, per dirla facile. È l’altra faccia dell’America, quella che raramente trova spazio nelle narrazioni mainstream di Hollywood.
Il viaggio nell’Overworld rappresenta per questi personaggi non solo un’avventura ma una vera e propria fuga dalla realtà. Come negli anni Settanta, quando il cinema fantastico offriva un’evasione da un’America in crisi di identità post-Vietnam, anche qui il mondo digitale diventa rifugio da una realtà socioeconomica opprimente. Il personaggio di Garbage Man, interpretato malamente da Momoa, incarna bene questo disagio: ex campione videoludico ridotto a rovistare nei rifiuti per sopravvivere con un negozio di modernariato dei videogiochi che grida vendetta, è il simbolo di una generazione che ha visto svanire il sogno americano. La sua redenzione nell’Overworld parla di seconde possibilità in un sistema che nella realtà raramente le concede (e infatti, è l’antieroe per definizione, chiuso in un ruolo secondario).
L’eroe è Jack Black, che recita la stessa identica cosa qualsiasi film faccia, e la fa sempre meglio, perché a quanto pare adesso va in palestra (nonostante la stazza) e ha un buon coach musicale che gli ha finalmente insegnato a cantare. È un rocker prestato al mondo per convertire tutti. Incidentalmente, il protagonista di Un film Minecraft. Ma questo è solo un dettaglio.
Visivamente impressionante, narrativamente fragile
Sul piano tecnico, Un film Minecraft dimostra notevole perizia. La transizione fra il mondo reale e l’universo cubico è gestita con maestria, creando un contrasto visivo che sottolinea la differenza tra la grigia quotidianità e la vivace libertà dell’Overworld. Gli effetti visivi non cadono nella trappola dell’uncanny valley come i primi trailer lasciavano temere. Il design dei mob, dei biomi e dell’intero ambiente di gioco è fedele all’originale senza risultare stucchevole, e i fan del videogioco troveranno innumerevoli easter egg sparsi lungo tutto il film. Praticamente, è un film per loro, che non hanno alcun interesse alla trama (che peraltro non c’è) e sono decisi a rivivere le emozioni solitarie del videogioco in una sala con tanta altra gente. Una cosa un po’ creepy, ma si sa, è gente fatta così.
Invece, dove la “non opera d’arte” zoppica visibilmente è nella scrittura. Quella cosa che se non ce l’hai non c’è verso che il film ti venga bene. E infatti i dialoghi sono forzati e oscillano tra momenti di genuina comicità e battute insipide, tanto da sembrare scritti da un plotone di standup comedian sotto cocaina. Invece, la trama segue un percorso prevedibile: avete presente il viaggio dell’eroe? Ecco, però fatto con l’audioguida.
In pratica, il percorso ricalca altre trasposizioni videoludiche come Jumanji – Benvenuti nella giungla. I personaggi, nonostante premesse interessanti, rimangono sottosviluppati. La morte della madre di Henry e Natalie, ad esempio, viene menzionata e poi quasi dimenticata (son dettagli), una potenziale profondità emotiva sacrificata sull’altare del ritmo e dell’azione. I tentativi di inserire momenti toccanti risultano molto poco convincenti, come innesti posticci su un corpo narrativo focalizzato principalmente sull’intrattenimento.
Attori (tra) alti e bassi
Jack Black offre esattamente ciò che ci si aspetta da lui: un’interpretazione esuberante, sopra le righe e musicalmente vivace. In qualsiasi altro film, avrebbe recitato sempre così. Quell’uomo è peggio di Clint Eastwood: con o senza cappello ha sempre la stessa espressione sopra le righe. Dopo alcune sequenze, tutta questa energia diventa ripetitiva e stancante.
La vera sorpresa del cast è Jason Momoa. Una sorpresa negativa, benintenso. Nel ruolo del Garbage Man riesce a mancare sia la comicità che la vulnerabilità del personaggio in modo completo. Tipo come uno che spara mirando proprio da un’altra parte. Fantastico. Se dovesse mai giocare a calcio, non gli farebbero tirare mai un rigore.
Invece, paradossalmente, la chimica tra i due attori funziona (a tratti) e regge gran parte del film, perché sostanzialmente non c’è altro. Infatti, il resto del cast offre prestazioni talmente poco memorabili che non mi ricordo neanche chi fa cosa: devo andarlo a guardare su IMDb.
E poi, inspiegabile, c’è Jennifer Coolidge, una sorta di caratterista che nel ruolo della vicepreside Marlene non farebbe ridere neanche i produttori di American Pie: avrebbe dovuto portare (forse) un tocco di stravaganza, ma lo fa in una sottotrama talmente surreale che sembra appartenere a un film completamente diverso e neanche divertente, a dirla tutta. L’unica spiegazione è che gli sia saltato in fase di montaggio un pezzo che spiega e dà senso, sennò hanno veramente regalato soldi a degli sceneggiatori ubriachi. Persino la prima delle due scenette nei titoli di coda, quella dedicata a lei e al suo partner digitale, non vale il costo della corrente usata dalle GPU per animarla.
Infine, la regia di Jared Hess. Mostra lo stesso senso dell’assurdo che caratterizzava Napoleon Dynamite, ma qui devastata dalle esigenze prepotenti di un blockbuster per famiglie. I momenti migliori sono quelli in cui il regista abbraccia pienamente la natura bizzarra del materiale originale, mentre quelli più deboli emergono nei tentativi di inserire pathos o messaggi edificanti. L’assenza di una storia non ha giocato a suo favore, va detto.
L’umorismo che funziona meglio è visivo o fisico piuttosto che quello fondato sui dialoghi, con alcune gag che riescono a fare ridere sia i bambini che gli adulti. Rachel House nei panni di Malgosha offre una performance semplicemente agghiacciante, poco carisma e nessun divertimento in un ruolo che poteva facilmente cadere nello stereotipo e sarebbe stato solo un bene in questo caso. Se un film di avventura ha carisma quanto lo ha il suo “cattivo”, questo spiega molto se non tutto sul perché Un film Minecraft non è un buon film.
Un fenomeno commerciale
Nonostante sia uno di quei film che non voglio rivedere, Un film Minecraft sta facendo soldi a man bassa. Con un incasso di 157 milioni di dollari nel solo weekend di apertura, ha superato Super Mario Bros. – Il film come miglior debutto per un adattamento videoludico. Questi numeri dimostrano la forza del franchise e l’intelligenza commerciale dell’operazione di Mojave-Microsoft.
Il film parla soprattutto ai fan del gioco, con numerosi riferimenti che sono incomprensibili a chi non ha mai costruito una casa di legno per sopravvivere alla prima notte o combattuto contro un Creeper. Per i neofiti, l’esperienza potrebbe risultare meno coinvolgente, ma la familiarità con il brand è così diffusa che questo approccio da “insider” rappresenta un rischio calcolato che paga economicamente. Peccato solo che il film non sia un buon film, ma solo un veicolo finanziario che passa dalle sale cinematografiche.
Tra l’altro, va detto che l’incasso del film ha certamente beneficiato dell’assenza di concorrenza significativa nel periodo di uscita, ma sarebbe riduttivo attribuire il suo successo solo a fattori esterni. Un film Minecraft ha intercetto l’immaginario di una generazione cresciuta con i cubi digitali, offrendo un prodotto molto limitato ma che funziona rispetto ai suoi obiettivi e riesce nell’impresa di trasformare una sandbox videoludica in un’esperienza cinematografica per impallinati del genere.
Tanti impallinati del genere. Talmente tanti che fa una montagna di soldi, e questo, in un’ottica per cui la quantità di denaro guadagnata è indice di qualità, porta automaticamente a ritenerlo un buon film. Ma tale non è. I difetti narrativi non sono compensati dall’affetto per il materiale originale e dalla genuina voglia di divertirsi che permea l’intera operazione. E tantomeno dai soldi guadagnati.
In conclusione
Un film Minecraft, se volete, è un curioso paradosso: tecnicamente ambizioso ma narrativamente pigro, commercialmente calcolato ma sorprendentemente rivelatore del contesto sociale contemporaneo. Sotto la superficie di un (brutto) film per famiglie si nasconde il ritratto di un’America in crisi che cerca rifugio nei mondi digitali dove è ancora possibile il riscatto e il senso del bello.
La nostalgia per il semplice atto di creare, costruire e immaginare diventa metafora di una generazione che ha visto le proprie opportunità contrarsi nella realtà mentre si espandevano virtualmente. Come negli anni Settanta, questa evasione segnala un malessere più profondo, una frattura sociale che nessun blocco di pixel potrà mai davvero riparare.
Nel complesso, si tratta di un’operazione commerciale riuscita che connette il suo pubblico principale (i giovani fan del gioco) offrendo anche un contesto consolatorio per tutti gli altri spettatori che soffrono una vita quotidiana fin troppo squallida e priva di coordinate e cercano una via di fuga tra i cubi. I panorami, l’unica cosa genuinamente bella del film, sono davvero mozzafiato: ricalcati a suon di effetti speciali sulla Nuova Zelanda, riescono a farci pensare che il virtuale sia meglio del naturale anche quando il primo è costruito mettendo trucchi e parrucchi al secondo.
La capacità di parlare simultaneamente a diverse fasce di pubblico, pur con risultati diseguali, è forse il più grande merito di questa trasposizione. In un panorama cinematografico saturo di adattamenti videoludici, Un film Minecraft non ridefinisce il genere ma lo arricchisce con una voce distintiva, anche se per niente armoniosa. È un brutto film che ha molto successo, sostanzialmente una festa per gli occhi.
Antonio Dini
Sabato, Bandai Namco Filmworks ha svelato un nuovo trailer e lo staff principale della nuova serie anime televisiva Ghost in the Shell di Science SARU , il cui debutto è previsto per il 2026. Il nuovo anime si intitola Kōkaku Kidōtai THE GHOST IN THE SHELL (il titolo inglese è The Ghost in the Shell ).