Lattuga a sette euro e neppure tanto buona. In Alaska il 95% della frutta e della verdura deve essere importata da altri Stati americani o dal Messico. I bancali viaggiano nelle stive delle navi per giorni, anzi, settimane, prima di raggiungere i consumatori. Prezzi alti, qualità bassa. Ecco perché proprio in Alaska sta prendendo piede la coltura idroponica, la tecnica cioè di fare crescere vegetali in luoghi chiusi e senza l’utilizzo di terra.
Di questa tecnica si è detto molto ad Expo 2015 prendendo spunto da un’ installazione dell’Enea. Ma in Alaska si è passati dalla sperimentazione al commercio. Al grido di “questa città vuole lattuga fresca” l’Alaska Natural Organics ha installato in un vecchio magazzino colture idroponiche in cui fa crescere ortaggi a foglia verde, come la lattuga appunto.
A fondarla è stato Mr. Smith, ex soldato dell’esercito Usa, che una volta abbandonato il fucile ha voluto tornare alla terra, anche se di terra in questo caso non ce n’è. Nell’idroponica le piante crescono su substrati di argilla compressa, lana di vetro o altri inerti. Le vasche vengono riempite e svuotate di acqua ciclicamente, mentre luci led assicurano il ciclo della fotosintesi. Inutrienti vengono disciolti nell’acqua, mentre i ripiani sono impilati uno sull’altro, a neanche 50 centimetri di distanza.
Con una popolazione di neppure un milione di abitanti, ma che spende due miliardi di dollari per l’import di alimenti, l’Alaska è il luogo ideale dove far crescere nuove imprese. A differenza della Alaska Natural Organics, laVertical Harvest Hydroponics non coltiva direttamente, ma fornisce ad aziende, ospedali, ristoranti o anche a privati cittadini moduli attrezzati e semi-automatizzati.
Si tratta di container che possono essere installati in cantine, parcheggi, giardini o capannoni. Vere e proprie vertical farms, in cui computer dosano acqua e nutrienti, mantengono costante la temperatura e regolano le luci led. Il tutto controllabile da smartphone. I costruttori assicurano che non occorre nessuna competenza, anche se è difficile crederlo. Certo è che per una comunità dell’Alaska, raggiungibile solo con un idrovolante e in cui le ore di sole sono appena sei al giorno, l’idroponica può essere una scelta vantaggiosa.
E qui arriva la domanda che tutti si fanno: il modello di business funziona? Basta fare due calcoli. Un modulo base costa intorno ai 100mila dollari. I costruttori assicurano 23mila teste di lattuga (o altri vegetali) l’anno. Con un prezzo al consumatore che oscilla tra i 5 e gli 8 dollari il business si fa interessante. Certo, ci sono i costi variabili, come i semi, i fertilizzanti e l’energia elettrica. Voci che però vengono compensate dall’assenza dimalattie o parassiti che richiederebbero agrofarmaci e che rovinerebbero una parte del raccolto. Senza contare che studi sulle colture in pressione potrebbero portare a crescite accelerate.
Una cosa è certa, il settore è in fermento e i fondi di investimento privatiinvestono, non solo negli Usa. A Londra Growing Underground ha trasformato un rifugio sotterraneo antiaereo in una vertical farm. Mentre in Svezia, a Linkoping, sta nascendo Plantagon, un grattacielo di 54 metri ad uso agricolo.
Anche in Italia qualcosa si sta muovendo ma è ancora difficile immaginare che queste soluzioni possano sostituire l’agricoltura tradizionale in campo aperto o in serra. Tuttavia le colture idroponiche possono rappresentare una ulteriore risorsa, specie per quei Paesi in cui le condizioni climatiche sono difficili. Non pensiamo solo all’Alaska, ma guardiamo anche ai Paesi del Nord Europa, alla Russia o ai ricchi Paesi del Golfo. Un’opportunità per le imprese, anche italiane, che decidono oggi di investire in innovazione.