Politica

Autonomia differenziata, quando resteremo a secco di fondi europei ci ricorderemo di questo Belpaese

A margine della legge sulla Autonomia differenziata e sulle polemiche sorte intorno alla proposta di referendum abrogativo della relativa legge recentemente approvata, vale la pena soffermarsi sull’andamento dell’utilizzo dei fondi europei da parte delle regioni, particolarmente di quelle del Sud Italia. Dal momento che chi governa queste regioni si esprime, in maniera peraltro bipartisan, in maniera negativa sulla legge in questione, sarebbe il caso di andare a vedere come sono stati (o più spesso non sono stati) spesi i fondi arrivati dalla EU per i scopi più vari.

In Italia, la percentuale di fondi europei non utilizzati è preoccupantemente alta. Secondo la Corte dei Conti, al 31 ottobre 2020, solo il 68,32 per cento dei fondi programmati erano stati impegnati e solo il 38,36 per cento dei fondi erano stati effettivamente erogati​. Questo problema è particolarmente acuto nelle regioni meno sviluppate come la Campania, Calabria e Sicilia, che hanno registrato i maggiori ritardi nell’attuazione dei programmi e significativi problemi di capacità gestionale​. Questa inefficienza nell’utilizzo dei fondi è dovuta a una combinazione di fattori, tra cui la complessità delle procedure. europee, la mancanza di competenze tecniche negli enti locali, e la lentezza della giustizia amministrativa che spesso blocca gli appalti​​Oltre a questi dati oggettivi analizzati dai vari centri studi possiamo aggiungere, con termini meno scientifici, la poca volontà politica e scarso senso di responsabilità degli amministratori locali.

Tra le regioni meridionali vale la pena soffermarci ad analizzare la situazione in Sicilia in quanto regione e Statuto speciale con una gestione amministrativa molto vicina a quella che chiedono e otterranno le regioni del Nord attraverso la nuova legge.

Analizzando il triennio 2020/2023 vediamo, per esempio, che i fondi europei che dovevano servire a realizzare nuovi impianti per la gestione dei rifiuti sono rimasti tutti o quasi nei cassetti. E si tratta di 114 milioni, che ora non c’è più tempo di investire. Allo stesso modo i finanziamenti che dovevano portare la banda larga ovunque in Sicilia sono tornati a Bruxelles. E si tratta di 45 milioni e 441 mila euro. La stessa sorte accomuna i quasi 65 milioni che erano stati stanziati per fronteggiare il rischio idrogeologico e quello sismico. Inoltre ci sono i fondi che dovevano rilanciare il turismo col piano SeeSicily: una buona parte di questi, 39,9 milioni, sono stati restituiti all’Ue. Dei 4 miliardi e 273 milioni assegnati alla Sicilia col piano FESR 2014-2020 alla fine del periodo il Dipartimento programmazione della regione Sicilia ha scoperto che 2,1 miliardi non sono stati utilizzati. Tra i tanti fondi non utilizzati è rimasta intatta in tutti questi anni la dotazione di 687.878 euro che serviva «per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici». E’ notizia degli ultimi giorni che la situazione climatica in Sicilia sta mettendo in ginocchio l’agricoltura e costringendo intere comunità a umilianti turni nell’erogazione dell’acqua. Fra le occasioni perse va inserita anche la lotta al rischio sismico: dei 76,6 milioni iniziali la Sicilia ne riuscirà a investire realisticamente appena 39.

Sul fronte dei rifiuti il bilancio è anche peggiore. Il Dipartimento programmazione nella sua relazione denuncia di essere stato costretto «a una decurtazione del budget, che dai 74,8 milioni iniziali si attesta adesso a 16,7». La differenza sono i soldi rimasti per 9 anni nei cassetti. Nel dettaglio: il 68 per cento dei fondi destinati a promuovere il compostaggio (cioè lo smaltimento dei rifiuti organici già differenziati) grazie a nuovi impianti è rimasto in assessorato. E se questo dato può indignare (in una regione invasa dai rifiuti) ecco che il monitoraggio messo nero su bianco evidenzia che il 98 per cento dei finanziamenti destinati «a rafforzare le dotazioni impiantistiche per il trattamento e il recupero dei rifiuti» non è mai stato investito. La Regione, si legge nella relazione, si trova quindi costretta ad azzerare questo capitolo del piano di spesa dei fondi europei per evitare che Bruxelles si riprenda tutto. E così mentre l’emergenza rifiuti si fa sempre più grave la Regione teneva fermi i fondi per gli impianti che avrebbero alleviato la situazione. Oltre al danno, poi, vi è la beffa. Questi soldi che per legge dovrebbero essere vincolati al territorio, e in questo caso alla Sicilia, rischiano di essere utilizzati altrove. La relazione evidenzia una serie di altri fondi non utilizzati per asset strategici come l’ammodernamento dell’aeroporto di Catania ma è meglio fermarci qui.

L’Italia che ha chiesto oltre duecento miliardi per finanziare il PNRR è la stessa che rimanda a Bruxelles oltre un terzo dei fondi? E la regione Sicilia che si preoccupa dei danni derivanti dalla Autonomia differenziata è la stessa che non riesce a spendere le risorse che ha a disposizione? Varrebbe la pena di approfittare di questo significativo cambiamento dell’assetto amministrativo nazionale per fare un mea culpa per gli errori del passato e fare in modo che gli sprechi di cui sopra non diventino una regola consolidata.

 

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