Ambiente

CEMENTO ASSASSINO. E’ il materiale più distruttivo del mondo eppure non riusciamo a farne a meno. Ispra: in Italia cementificati 2,4 metri quadrati di suolo al secondo

Cemento, che passione. La tragedia di Firenze, al di là del mercato assassino dei subappalti a cascata, fa ripensare alle new town, città che si allargano nelle campagne e si allungano dal sottosuolo al cielo con inutili nuovi centri commerciali. Tutto ciò si fa con il benamato cemento, il peggior killer del territorio. E non solo. Usiamo oltre quattro miliardi di tonnellate di cemento ogni anno, e per produrlo vengono emessi quasi tre miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Eppure non possiamo farne a meno. Nel 2023 il mercato globale del cemento ha raggiunto un valore di 385,8 miliardi di dollari.

E’ il calcestruzzo, comunque, il materiale più consumato al mondo, che secondo il politecnico di Zurigo dall’inizio della Rivoluzione industriale ne sono state colate sulla superficie terrestre qualcosa come novecento miliardi di tonnellate (come stendere uno strato di calcestruzzo altro un metro su tutto l’Iraq), con effetti che è facile immaginare sugli ecosistemi.

Negli ultimi tempi la produzione mondiale di cemento (che è cosa diversa dal calcestruzzo), come detto, supera di poco i quattro miliardi di tonnellate l’anno (erano meno di due nel 1995). Il primo produttore mondiale è la Cina, che ne sforna 2.200 milioni. In uno scenario business-as-usual, secondo il Royal Institute of International Affairs britannico (Chatham House) la produzione globale di cemento, guidata dalla crescente urbanizzazione e dall’infrastrutturazione nei Paesi economicamente meno sviluppati, è destinata a raggiungere i cinque miliardi di tonnellate l’anno in tre decenni.

In Italia il consumo di suolo sta accelerando, raggiungendo ritmi che non si vedevano da oltre dieci anni. Nel 2022, la crescita media delle superfici artificiali ha raggiunto i 2,4 metri quadrati al secondo, solo in piccola parte compensata dal ripristino di aree naturali, per lo più associato al recupero di aree di cantiere o di altro suolo consumato reversibile. Questo è il monito che viene dal rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” 2023, decima edizione a cura dell’Osservatorio Ispra dedicata all’analisi dei processi di trasformazione del territorio italiano, che causano perdita di suolo e dei relativi servizi ecosistemici.

L’obiettivo di azzeramento del consumo di suolo netto, previsto dall’Agenda 2030 e dai piani europei, si allontana: 70,8 Km quadrati in un solo anno, 19,4 ettari al giorno, di cui 14,8 km quadrati di consumo permanente. Il 10,2% in più rispetto al 2021. Si aggiungono ad essi altri 7,5 km quadrati passati, negli ultimi dodici mesi, da suolo consumato reversibile (rilevato nel 2021) a permanente, portando a una crescita complessiva dell’impermeabilizzazione, ovvero la copertura dei terreni con superfici artificiali impermeabili come il cemento e l’asfalto, di 22,3 km2.

Il consumo di suolo nelle zone periurbane e urbane è critico. L’aumento delle superfici artificiali comporta la perdita di superfici naturali all’interno e intorno alle città, fondamentali per l’adattamento ai cambiamenti climatici. I centri urbani, soprattutto i più grandi, stanno diventando sempre più caldi. La temperatura aumenta in proporzione alla densità delle coperture artificiali presenti, raggiungendo valori compresi tra 43 e 46 °C durante i giorni più caldi, soprattutto nelle zone più densamente popolate. Inoltre, l’andamento della temperatura varia a seconda delle caratteristiche del territorio circostante. In media, durante l’estate, la differenza di temperatura del suolo tra le aree urbane di pianura e il resto del territorio è di 4°C, ma può raggiungere massimi di 6°C a Firenze e oltre 8°C a Milano. Tra i comuni virtuosi, Ercolano in Campania ha consumato solo 0,2 ettari in più nel 2022, Montale in Toscana non ha registrato alcun aumento e San Martino Siccomario in Lombardia ha visto una diminuzione di 0,2 ettari. Tra i capoluoghi delle città metropolitane, GenovaReggio Calabria e Firenze mostrano un risparmio del suolo.

Le città sono un “campo di battaglia fondamentale” per contrastare la crisi climatica

Secondo il Climate crisis advisory group, il 59% dei nuclei urbani più popolosi è “ad alto rischio”. Necessario “ripensare e reinventare” i centri abitati, rafforzando la resilienza e modernizzando normative edilizie e infrastrutture. [VIDEO]  5/10/23

I poli logistici

Logistica e grande distribuzione organizzata sono tra le principali cause di consumo di suolo in Italia. Il consumo di suolo per lo sviluppo di poli logistici ha raggiunto il massimo dal 2006, con particolare concentrazione nel Nord-Est del Paese, seguito dal Nord-Ovest e Centro.

Le grandi infrastrutture rappresentano l’8,4% del consumo totale di suolo, gli edifici costruiti su suoli agricoli o naturali nell’ultimo anno corrispondono al 14%, piazzali, parcheggi e altre aree pavimentate, il 13,4% e le attività estrattive il 5,4%.

Il 13% del consumo totale di suolo nazionale si verifica nelle aree a pericolosità idraulica media, con il 9,3% del territorio ormai impermeabilizzato, un valore superiore alla media nazionale.

Inoltre, più del 35% del consumo totale di suolo dell’ultimo anno si trova in aree a pericolosità sismica alta o molta alta. Infine, il 7,5% è nelle aree a pericolosità da frana.

Che cos’è il cemento? Risponde Daniele Di Stefano

Usato nelle sue forme primordiali già dagli antichi – ricorderete forse dalle scuole medie la malta di calce e pozzolana impiegata per l’opus caementitium degli acquedotti romani – quello moderno nasce nel 1824 quando il britannico Joseph Aspdin brevetta il cemento Portland, oggi alla base di quasi tutti i tipi di cemento.
Parliamo di un collante che agisce quando viene unito all’acqua (un legante idraulico): fatto di marne, calcari, argille passati in forno a 1450 °C (la temperatura della lava), a cui il calcare si scompone in ossido di calcio e anidride carbonica: è la calcinazione. Quello che esce dal forno si chiama clinker, che macinato e mescolato con gesso dà il cemento. Tra calcinazione e consumi energetici, produrre una tonnellata di cemento comporta grosso modo l’emissione in atmosfera di una tonnellata di anidride carbonica. Se aggiungiamo sabbia e ghiaia (gli inerti o aggregati) otteniamo il calcestruzzo. Per un metro cubo di calcestruzzo servono circa trecento chilogrammi di cemento, un metro cubo di aggregati e centoventi litri d’acqua.

Dalle materie prime all’acqua: i consumi dell’industria del cemento

Il settore dell’edilizia è responsabile del consumo di circa il 50 per cento di tutte le materie prime estratte a livello mondiale: 42 miliardi di tonnellate l’anno (il peso di una montagna fatta di 14 miliardi di auto come la Land Rover Discovery).
Una tonnellata di CO2 per ogni tonnellata di cemento non è quella che si può definire un’attività climate-friendly, e infatti l’industria cementizia è responsabili di circa il 5-9% (a seconda delle stime) del totale delle emissioni antropiche, subito dopo la chimica e più rilevante di siderurgica o aviazione. “Se l’industria del cemento fosse un Paese – ancora il Guardian – con 2,8 miliardi di tonnellate sarebbe sul podio tra i maggiori emettitori di CO2, dopo Stati Uniti e Cina”. Nonostante i consumi energetici siano in calo, alimentare i forni per portarli a quasi 1500 °C richiede più o meno il 5% del consumo energetico industriale globale.

Zoomando ancora sul processo produttivo mettiamo a fuoco l’acqua: ne servono fino a cinquecento  litri per tonnellata di clinker, che secondo uno studio pubblicato su Nature fa il 9% dei prelievi idrici industriali globali. “Le esigenze idriche sono enormi e particolarmente gravose in quelle regioni della Terra che non sono benedette dall’abbondanza di acqua dolce – spiega Christian Meyer della Columbia University –. L’industria del calcestruzzo utilizza circa un miliardo di metri cubi di acqua ogni anno.”
E quando i prodotti realizzati con il cemento (le costruzioni) arrivano alla fine della loro vita, diventano una delle principali fonti di rifiuti: in Europa circa 500 milioni di tonnellate ogni anno, oltre un terzo di tutti i rifiuti prodotti.

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