Politica

Cop28, Giorgia Meloni sventola bandiera gialla e cita Prandini: «Non vogliamo cibi fatti in laboratorio». Ma Mattarella non ci sta

«Non vogliamo cibi fatti in laboratorio». Giorgia Meloni a Dubai si fa portavoce del presidente di Coldiretti Ettore Prandini e di suo cognato, Francesco Lollobrigida. Il presidente del Consiglio interviene alla conferenza sul clima Cop28 sulla polemica di questi giorni fra il sistema politico e alimentare italiano e le regole dell’Unione europea che prevedono una possibile transizione verso cibi prodotti sviluppando cellule staminali. Proprio oggi gli uffici della Commissione di Bruxelles hanno ricevuto dall’Italia la notifica delle norme recentemente approvate dal governo Meloni che vietano la produzione e commercializzazione di cibi che il governo si ostina a definire sintentici.

Meloni pronuncia parole inequivocabili sulla posizione del suo governo: «Vogliamo essere impegnati anche nella sicurezza e incolumità alimentari, significa non solo alimenti per tutti ma assicurare alimenti sani per tutti. Questo significa che non vogliamo considerare la produzione alimentare come sopravvivenza, ma un mezzo per vivere una vita sana e il ruolo della ricerca è essenziale in questo contesto. Tuttavia non per produrre alimenti in laboratorio, magari andare verso un mondo in cui i ricchi possono mangiare alimenti naturali e i poveri cibi sintetici, con un impatto sulla salute che non possiamo prevedere: non è mondo che voglio vedere».

La Commissione europea conferma di aver ricevuto la notifica riguardante il Ddl del ministero dell’Agricoltura che vieta la carne coltivata in Italia, approvato due settimane fa dalla Camera. “Non l’abbiamo ancora analizzata”, ha detto la portavoce per il Mercato unico della Commissione europea, Johanna Bernsel, rispondendo ai giornalisti durante il briefing quotidiano a Bruxelles. La portavoce ha anche confermato che il progetto del Ddl sulla carne coltivata era stato già notificato una prima volta a Bruxelles in estate, ma la notifica era stata poi ritirato prima dell’approvazione parlamentare, avvenuta il 16 novembre.

Il parere della Ue sarà fondamentale per l’esito di questa paradossale crociata della destra nazionale. Oggi il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha promulgato il disegno di legge sulla cosiddetta carne coltivata ma solo con l’impegno del Governo ad adeguarsi alle eventuali osservazioni della Commissione Europea. Che è esattamente l’impegno che aveva chiesto l’oppsizione al Governo, e che il Ministro Lollobrigida aveva rifiutato di assumersi.

Cosa succederà ora?

Qualora la Commissione dovesse ritenere il disegno di legge contro la carne coltivata in contrasto con il diritto europeo, l’Italia non potrà far altro che adeguarsi e cestinare questo inutile e dannoso provvedimento retrogrado. Dopo tanta demagogia del Governo, il Colle ha quindi confermato che i dubbi di +Europa sono fondati. “Questo divieto -denuncia in una nota il partito di Emma Bonino- non è solo un altro obbrobrio giuridico, ma è anche anti italiano, antieuropeo e anti scientifico. Mentre c’è chi coltiva ignoranza, +Europa -si legge nel comunicato- prosegue la sua battaglia per un paese che non rinunci ad essere frontiera della ricerca e della scienza in uno dei settori più importanti della nostra economia, l’agroalimentare”.

+Europa si vanta di portare avanti  una battaglia per l’ambientelo sviluppo sostenibile, la salvaguardia della biodiversità e la salute: “le nuove tecnologie alimentari possono contribuire -sostengono- a mettere fine agli allevamenti intensivi che producono inquinamento, sofferenza animale e che spesso sono ricettacoli di malattie dannose per gli esseri umani. Ancora una volta, non ci resta che prendere atto che noi avevamo ragione e che l’unica cosa che fa davvero male al nostro Paese non è la carne coltivata ma il governo Meloni”.

A questo punto viene da chiedersi perché Meloni e il cognato abbiano tanto a cuore la battaglia del direttore di Coldiretti. Come nasce Ettore Prandini. Come diventa così pontente da potersi permettere persino di aggredire, ricordiamo, il 16 novembre  il deputato di +Europa, Benedetto Della Vedova, fuori dal Parlamento. Mentre era in corso alla Camera la discussione del disegno di legge sulla carne coltivata, all’esterno la Coldiretti aveva organizzato un sit-in coi propri iscritti. A un certo punto Prandini ha raggiunto Della Vedova (in compagnia di Riccardo Magi e un piccolo gruppo di persone che stava manifestando contro il divieto alla carne coltivata con alcuni cartelli in mano) e lo ha spintonato, insultandolo. Immediata la reazione dei presenti e delle forze dell’ordine, che hanno allontanato il presidente di Coldiretti.

Ettore Prandini è considerato il mastino di una triade che oggi governa l’agricoltura italiana. Una triade composta, oltre lui, da Federico Vecchioni e Vincenzo Gesmundo: il primo amministratore delegato di Bf spa, colosso da 1,2 miliardi di euro di valore che raggruppa il meglio del settore, dalla produzione alla distribuzione e alla finanza; il secondo potentissimo deus ex machina di Coldiretti, da decenni, seduto in una miriade di cda del comparto.

Suo padre è l’ex ministro bresciano Giovanni Prandini. Morto a 78 anni nel 2018, è stato un importante esponente della Dc nel corso degli anni ’80, quando ricoprì il ruolo di Ministro della Marina Mercantile (1987-88) e di Ministro dei Lavori Pubblici (1989-91). È stato inoltre Sottosegretario di Stato per il commercio estero nel primo governo di Bettino Craxi.

Era nella “Banda dei quattro”, espressione ideata dal democristiano Guido Bodrato che si riferiva a un gruppo composto dallo stesso Prandini, dall’altro democristiano Paolo Cirino Pomicino, dal liberale Francesco De Lorenzo e dal socialista Carmelo Conte. Il riferimento era al fatto che i quattro esponenti dei tre partiti erano particolarmente potenti nel governo Andreotti e indirizzavano le decisioni strategiche.

Prandini fu coinvolto dall’inchiesta di Tangentopoli. Nel processo penale fu condannato a 6 anni e 4 mesi per delle tangenti sugli appalti Anas, ma la sentenza definitiva fu di proscioglimento perché la legge nel frattempo era cambiata e gli atti erano diventati inutilizzabili. Non finì invece il processo contabile che lo portò a una condanna di risarcimento da parte della Corte dei Conti a 5 milioni di euro per abuso di potere (sostituzione di bandi di concorso con trattative private) durante il mandato da ministro dei Lavori Pubblici.

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