Politica

Manette di fine anno. Crosetto, Salvini, Costa, Renzi, come la politica si straccia le toghe. Le j’accuse di Scarpinato e Davigo

Mentre Meloni e Salvini evitano rigorosamente telecamere e confronto parlamentare, viene a galla il sistema Verdini che inchioda tutto il centrodestra con un’inchiesta giudiziaria tale da far sembrare “cosa ‘e niente”  anche Mani Pulite. Eppure quel marcantonio del ministro della Difesa ci aveva provato a prevenire lo scandalo.

Per Guido Crosetto “l’unico pericolo” per la tenuta del governo di Giorgia Meloni “è l’opposizione giudiziaria“. Il ministro della Difesa usò il vocabolario in voga ai tempi di Silvio Berlusconi quando accusa la magistratura di manovrare contro l’esecutivo, citando anche alcune presunte riunioni organizzate da una corrente specifica di toghe per tramare contro la sua maggioranza. Parole pronunciate alla fine di un’intervista sul Corriere della sera sulla politica estera e sul Pnrr, che provocarono ovviamente una infuocata polemica. A Crosetto, infatti, hanno subito replicato sia rappresentanti del sindacato della magistratura, che lo hanno accusato di riferire vicende senza alcun fondamento, che esponenti dell’opposizione, secondo i quali il ministro voleva lanciare minacce velate al mondo delle toghe.

A mettere i bastoni tra le ruote a magistrati e giornalisti ci hanno poi pensato i gregari di Fabio Renzi.
“Se il motivo è di tutelare la privacy dell’indagato perché esiste la presunzione di innocenza, allora dovremmo arrivare al punto di vietare pure la pubblicità dei dibattimenti, perché la presunzione di innocenza esiste fino alla sentenza definitiva in Cassazione. In realtà, dietro il feticcio della tutela della privacy, elevato a valore supremo sull’altare del quale sacrificare il diritto all’informazione, si cela ben altro. Più che del giudizio penale hanno terrore del giudizio della pubblica opinione che deve essere tenuta all’oscuro degli affari sporchi dei colletti bianchi”.
Sono state queste le parole di commento dell’ex procuratore generale di Palermo e oggi senatore Roberto Scarpinato sull’approvazione dell’emendamento presentato dal deputato Enrico Costa che vieta la pubblicazione delle ordinanze di arresto in forma integrale o per estratto fino al termine delle indagini.

Riavvolgendo il nastro di una paio di settimane possiamo, infine, ascoltare le parole di Davigo che attacca il giudice che lo ha condannato. Ma non solo.

“Non solo non ho commesso reati, ma ho fatto il mio mestiere. Ma visto che a Brescia le cose non sempre le capiscono mi hanno condannato. Ormai sono abituato è il 27mo procedimento che ho a Brescia”. Sono le parole pronunciate da Pier Camillo Davigo ospite Mucchio Selvaggio, il podcast di Fedez.
“Se un pescatore pesca un luccio di 15 chili e lo fotografano sul giornaletto di provincia, è il pescatore che fa protagonismo o il luccio che è grosso? Non do giudizi, ma mi limito a dire che nel caso che mi ha riguardato, io ero un luccio che dava lustro”.
Davigo è stato condannato in primo grado a un anno e tre mesi per rivelazione del segreto d’ufficio per i verbali sulla presunta Loggia Ungheria. “Come fa il tribunale di Brescia a dire che io ho violato il segreto? Il segreto sarebbe stato se avessi detto al Csm ‘c’è un’indagine con questi nomi’ e non ‘guardate che non stanno facendo un’indagine’. Ho spiegato tutto nei motivi d’appello. Credo alla giustizia? Assolutamente sì. Ci sono ancora l’appello, la Cassazione e la Corte europea dei diritti dell’uomo”, ha aggiunto Davigo. Che in riferimento al giudice Roberto Spanò che lo ha condannato ha detto: “Questo è un Paese curioso in cui più volte il presidente del collegio di Brescia pubblicamente ha dichiarato che fino a questo processo non sapeva cosa fosse il comitato di presidenza del Csm. Non è una cosa di cui ti devi vantare”. Roberto Spanò non ha al momento voluto replicare e ha scelto la linea del silenzio.

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