Le elezioni presidenziali russe del 2024 sono un appuntamento importante, e non per il risultato, scontato, ma per come verrà condotta la campagna elettorale.
A quanto sembra di capire, l’inizio ufficiale sarà nella seconda metà di dicembre e vedrà protagonista sì la politica estera, ma non la guerra, e le ragioni appaiono evidenti: la controffensiva ucraina si è arenata, le posizioni russe grossomodo si sono mantenute (e questo dovrebbe aprire una riflessione sulla copertura mediatica dei mesi scorsi, ma non andiamo fuori traccia), però è difficile riuscire a vendere l’impasse come successo, anche perché in questo stallo comunque muoiono tanti uomini. Parlare della politica estera vuol dire continuare nella denuncia delle mire occidentali, nel rilancio del profilo da grande potenza della Russia, vuol dire mettere in evidenza fatti e misfatti in Europa e negli Stati Uniti – giusto per far un esempio, un fenomeno alla fin fine non di primaria importanza come le cimici a Parigi è diventato una presenza costante sui media ufficiali russi, per indicare come se la passano male i francesi (le cimici maledette ci sono anche a Mosca, una volta ci hanno infestato casa, e non siamo stati i soli).
Al momento continua la ricerca degli sparring partner di Putin, e sembra che vi siano delle condizioni: il candidato ideale da usare come punching ball non deve essere più giovane di Putin, non deve “brillare”, non deve presentare rischi. Vi son stati tentativi per convincere alcuni, come Grigorij Javlinskij di Jabloko, a presentarsi come “candidato liberale contro la guerra”, per fargli avere un 2 per cento poi da utilizzare come base per la costruzione di una marginalizzazione del tema (“avete visto? Son pochi quelli contro la guerra”), ma il rifiuto di Javlinskij da un lato e i timori di una parte dell’amministrazione presidenziale dall’altro di possibili “sorprese” spiacevoli (ma controllabili nell’immediato) da parte di una candidatura che preme per i negoziati ha al momento fatto cadere il discorso.
La guerra deve restare sullo sfondo, fino alle elezioni, e sperare di tirare avanti così nell’impasse fino all’appuntamento con le urne negli Stati Uniti nel 2024, questo è il programma minimo del Cremlino, con l’idea di una probabile sconfitta di Biden; anche qui si tratta di un azzardo – personalmente non son convinto che una presidenza Trump possa essere così favorevole a Mosca come si crede, sul suo isolazionismo chiedete all’Iran – ma che permetterebbe di presentare la tenuta dei territori occupati come un successo.
Quel che è più interessante, forse, si aprirà dopo le presidenziali russe, come spesso è successo, penso al 2018 dove la promessa di non alzare l’età pensionabile si tradusse nell’esatto contrario, forse segnando uno dei momenti più critici di accumulazione dello scontento nell’era putiniana, processo interrotto dalla pandemia.