Il segretario di Stato americano Antony Blinken è arrivato a Tel Aviv dove sono previsti nuovi colloqui con il premier israeliano Benjamin Netanyahu in merito alla guerra con Hamas. Per Blinken è il terzo viaggio in Israele in meno di un mese da quando è scoppiato il conflitto dopo gli attacchi mortali di Hamas del 7 ottobre. Blinken visiterà anche la Giordania e potrebbe fare ulteriori soste nella regione durante il fine settimana prima di recarsi in Asia all’inizio della prossima settimana. Il presidente Usa Joe Biden ha chiesto una “pausa umanitaria” nei combattimenti per organizzare l’evacuazione dei cittadini palestinesi e degli stranieri ancora intrappolati a Gaza.
Blinken non esclude dagli incontri il presidente Isaac_Herzog e altri leader di governo. Discuterà del diritto di Israele a difendersi e “del nostro lavoro per fornire assistenza umanitaria ai civili a Gaza”. Incalzato su X sulla reale volontà della più importante potenza mondiale di portare la pace in Medioriente ci risponde così: “Siamo tornati nella regione del Medio Oriente per continuare i nostri impegni diplomatici. Come ho sottolineato, non dobbiamo scegliere tra difendere Israele e aiutare i civili palestinesi. Possiamo e dobbiamo fare entrambe le cose.”
Staremo a vedere, restando in atttesa anche dell’intervento tv del leader delle milizie sciite filoiraniane Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, che terrà oggi pomeriggio. E’ il primo dall’inizio del conflitto a Gaza. Tra esplicita apertura delle ostilità e semplice solidarietà ad Hamas, spunta l’eventualità più realistica: un appoggio indiretto.
Finora, le milizie libanesi filoiraniane sono “rimaste alla finestra”, salvo qualche scambio di artiglieria al confine nord con il Libano, che ha provocato alcune vittime e il crescere della tensione nei pressi della Linea Blu. Quest’ultima è la cosiddetta “zona-cuscinetto”, di demarcazione del confine tra i due Stati dopo la guerra del 2006. La frontiera tra Israele e Libano è sorvegliata dalle truppe dell’Unifil, di cui fanno parte un migliaio di soldati italiani, incaricate di garantire la pace in una zona altamente militarizzata, una delle più calde al mondo.
Sono passati diciassette anni da quando Israele, nel corso della cosiddetta Seconda guerra del Libano (2006), rinunciò a spingersi fin dentro Beirut per neutralizzare la minaccia del Partito di Dio. Dall’altro lato, lo stesso Hezbollah cantò vittoria, per essere riuscito a fermare l’esercito con la Stella di David. Da allora, esso ha acquisito sempre più autorevolezza agli occhi del popolo libanese e dell’area politico-ideale cui si iscrive (gli sciiti).
Ma, alla vigilia delle parole di Nasrallah, gli esperti si interrogano su cosa dirà il capo delle milizie filoiraniane: Hezbollah scenderà davvero in campo, con le sue armi e i suoi uomini, aprendo un “fronte nord” che cambierebbe (di certo, in peggio) le sorti del conflitto? Hezbollah si può davvero permettere di estendere le ostilità e ampliare la guerra a vero e proprio scontro di dimensioni regionali, che avrebbero l’effetto di infiammare l’intero Medio Oriente?
Oppure, molto più realisticamente, il leader antisionista si limiterà a esprimere a parole la sua solidarietà ai fratelli di Hamas, lanciando strali contro lo Stato ebraico ma senza, di fatto, agire sul campo; vale a dire, senza imbracciare le armi in una “crociata antisionista” che equivarrebbe al “colpo di teatro” politico di unire sunniti e sciiti?
Come terzo, probabile scenario ci sarebbe un coinvolgimento indiretto del Partito di Dio nella guerra in corso a Gaza, attraverso l’invio di armi e munizioni a miliziani non identificati come milizie libanesi; o, ancora, attraverso la presa di mira di obiettivi a nord e a est dello Stato israeliano (nello specifico, il fianco nordorientale che va dalle Alture del Golan alla Cisgiordania), complicando la situazione per Tel Aviv. Allo stesso tempo, con l’appoggio determinante dell’Iran – di cui Hezbollah si serve da sempre –, Nasrallah potrebbe fregiarsi dell’iniziativa senza essere ritenuto il diretto responsabile dei nuovi attacchi a Israele.
All’ipotesi arriva in redazione su Telegram la risposta del portavoce dell’IDF Daniel Hagari (foto in copertina): “L’Iran continua a svolgere attività sovversive negative. Cerca di distoglierci dalla guerra a Gaza, ma noi continuiamo a concentrarci sullo smantellamento dell’organizzazione terroristica di Hamas
Sapremo come rispondere in qualsiasi arena e minaccia se necessario”. Ce ne è abbastanza per temere dunque il peggio. Speriamo bene.