Ambiente

L’INTERVISTA. COP28, Dubai: possono nascere idee ambiziose nel deserto? Un’opinione personale

Anche quest’anno, come ogni anno dal 1992, a fine novembre si è aperta la Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la COP28 ha avuto luogo nel caldo desertico di Dubai. Abbiamo incontrato Stefania Romano presente a Dubai per conto di UNECE, Coordinator, Transformative Urban Nature Action. Ci ha dato una sua opinione personale della sua esperienza alla COP28.

Come è stata l’organizzazione emiratina di questa COP?
File chilometriche per entrare, ma questa non è una novità, una nota positiva del paese ospitante è stato ricevere durante il percorso, sotto il sole cocente, lattine di acqua. Complicati i giorni in cui erano presenti i capi di stato, le ore di attesa per arrivare al controllo sicurezza si sono allungate, per cui arrivavamo alla Zona blu come fosse un’oasi nel deserto. Gli spazi immensi, con innumerevoli padiglioni e meeting rooms da percorrere in lungo e largo per raggiungere eventi, partner, colleghi, e intervenire alle centinaia di side events in programma. A fine giornata, controllavo l’app di step up che oltrepassa la decina di chilometri.

Come è stata la partecipazione internazionale alla COP28?
La COP28 è stato uno dei vertici più popolati della storia con 100mila delegati. Quest’anno la presidenza, non con poche critiche, è andata al sultano Al-Jaber, amministratore delegato e direttore generale del gruppo Abu Dhabi National Oil Company. Presenti il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, la presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen, più di 160 capi di Stato e ministri da tutto il mondo, tra cui il primo ministro indiano Modi, fotografato simpaticamente con la nostra presidente Meloni, il presidente del Brasile Lula, che ha indefessamente con toni appassionati e teatrali appoggiato il lavoro sulle foreste della Ministra Marina Silva, il premier inglese Sunak e Re Carlo III, noto ambientalista. Joe Biden e Xi Jinping spediscono gli inviati speciali per il clima, John Kerry e Xie Zhenhua.

Ci sono state decisioni significative prese a Dubai?
Un passo importante è sicuramente il Loss & Damage Fund e gli impegni finanziari annunciati. Attualmente, sono stati destinati fondi significativi a diverse iniziative, compresi 726 milioni di dollari per il Fondo Loss & Damage e 67 miliardi di dollari complessivi per progetti legati al clima. Tuttavia, questi finanziamenti appaiono esigui in confronto alle spese militari e ai sussidi alle fonti fossili, evidenziando la necessità di una maggiore impegno. È comunque fondamentale capire se tali progetti coinvolgeranno le comunità, rispetteranno i diritti umani e del lavoro, e garantiranno una giusta transizione senza lasciare nessuno indietro, aspetti attualmente non garantiti.

Qual è stato l’obiettivo principale di questa COP28?
La COP28 a Dubai affronta il tema cruciale del phase-out delle fonti fossili per mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia critica di 2°C. Il Global Stocktake (GST) è il principale strumento dell’Accordo di Parigi per implementare tali obiettivi a livello nazionale. La fase politica della COP28 include discussioni sulla riduzione graduale dei combustibili fossili e la necessità di termini specifici basati sulla scienza per la riduzione delle emissioni. Purtroppo, il divario tra la comunicazione sull’obiettivo 1,5°C e il suo realistico raggiungimento è evidente. La bozza, attesa da tempo e formulata con cura dalla presidenza, evita termini come “phase out” o “phase down”, e richiede ai Paesi di ridurre la produzione di combustibili fossili, raggiungendo obiettivi simili. Il testo, che si concentra sulla produzione di combustibili fossili piuttosto che sulle emissioni, è ora aperto all’esame dei governi nelle riunioni chiave, tra cui quella dei capi delegazione. Nonostante l’assenza di un linguaggio esplicito sull’eliminazione o la riduzione graduale, il testo è considerato un compromesso che affronta direttamente la produzione di combustibili fossili, aiutando i paesi che vogliono ricorrere alla cattura e allo stoccaggio del carbonio.

Questo tipo di manifestazione è congeniale al raggiungimento degli obiettivi che si prefigge?
La prima domanda sulla quale vale la pena di riflettere è se la presenza di un numero così alto di delegati sia necessaria e utile, considerando le emissioni che un viaggio del genere comporta, moltiplicato per il numero dei partecipanti, calcolando i costi enormi per ogni padiglione, al netto di risultati raggiunti dai side event. Personalmente, Il tragitto mattutino per raggiugere l’Expo 2020, in metropolitana, è stata l’occasione di conversazioni più stimolanti, trovandoci per caso a confrontarci con gli altri delegati sulla domanda aperta dell’impatto e dei risultati reali delle COP, rispondendoci però che se non ci fossero, il problema resterebbe e avremmo comunque difficoltà a scambi che coinvolgano tutti i paesi del mondo per affrontare una possibilità di cambiamento.  A me pare che al momento i vertici somigliano più a fiere commerciali che a discussioni globali critiche. E allora forse dovremmo ripensare al format delle COP. Ripensarle in modo più efficiente, anche ridimensionandole, prevedendo la partecipazione di chi possa prendere le decisioni, verificando l’utilità della presenza di lobbisti dei combustibili fossili e di altre industrie che influenzano i negoziati. Proporre riforme per modificare il processo decisionale con metodi più snelli ed efficaci, nuovi trattati vincolanti, con misure tangibili, affrontando realmente le industrie che divorano il nostro pianeta.

Ci sono state interviste interessanti?
Mi sono trovata davanti al famoso guru Sadhguru Jaggi Vasudev, il fondatore della Fondazione Isha, mentre veniva intervistato. Ha sottolineato il fatto che i cambiamenti di trasformazione richiedono tempo, sottolineando l’avanzamento graduale delle azioni umane, a partire dall’idea, passando per il dialogo e culminando infine nell’investimento emotivo. Ha posto attenzione sulla natura intricata degli sforzi globali, in cui coesistono sia il consenso che il disaccordo, e che richiedono un continuo lavoro di affinamento, per cui, sebbene la COP non possa offrire una soluzione definitiva, rappresenta uno sforzo collettivo per aumentare la consapevolezza e stimolare l’azione globale.

Quale potrebbe essere uno scatto culturale per andare nella direzione voluta?
Dovremmo parlare di come cambiare noi stessi, ma per l’essere umano è più semplice pensare di dovere discutere su un possibile accordo quadro, piuttosto di fermarsi a considerare una rivoluzione interiore. Curarci per primi per avere la capacità di curare l’ambiente, gli ecosistemi e la natura.

Quale riflessione si sente di fare al termine di questa sua esperienza?
Mi viene in mente la frase di Tiziano Terzani, mio amato autore: l’unico modo per non farsi consumare dal consumismo è digiunare, digiunare da qualsiasi cosa non sia assolutamente indispensabile, digiunare da comprare il superfluo. Basta rinunciare a una cosa oggi, a un’altra domani. Basta ridurre i cosiddetti bisogni di cui presto ci si accorge di non avere affatto bisogno. Questa è la vera libertà: non la libertà di scegliere, ma la libertà di essere.

 

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