Sebbene la puntura di zanzara del genere Aedes aegypti resti la via privilegiata dell’infezione umana da Zika virus, uno studio condotto dai ricercatori del Dipartimento Malattie infettive (MIPI) dell’ISS conferma la possibilità della trasmissione sessuale del virus. L’indagine, pubblicata oggi su Eurosurveillance, non è legata all’attuale epidemia che si sta sviluppando in America Latina, bensì ad un caso, il terzo identificato sino ad ora nel mondo, ricostruito e confermato retrospettivamente.
“Nell‘estate-autunno del 2014 – spiega Gianni Rezza, direttore del MIPI – l’unità arbovirus dell’ISS esaminò per una sospetta Dengue i campioni di siero appartenenti ad un uomo che aveva viaggiato in una zona all’epoca affetta da dengue, la Tailandia, e della sua partner, che invece non aveva effettuato viaggi, ma che si era ammalata a distanza di circa 20 giorni con sintomi simil-Dengue. I campioni provenivano dalla Clinica delle Malattie infettive dell’azienda universitaria di Careggi, Firenze. Complessivamente, dall’analisi di tutti i risultati di laboratorio, non fu possibile confermare l’infezione da virus Dengue per nessuno dei due casi. Rimase comunque il sospetto di una infezione importata da Flavivirus, con una successiva trasmissione autoctona, presumibilmente per via sessuale”.
I campioni prelevati in fase acuta furono anche analizzati con un test molecolare per la presenza del virus Zika, con esito negativo. “Quest’anno – va avanti l’esperto – rendendosi disponibile un test di neutralizzazione per il virus Zika, sono stati nuovamente testati i campioni disponibili in ISS per verificare se si trattasse di un’infezione da virus Dengue o da virus Zika, potendosi verificare una reattività crociata fra i due virus. I risultati hanno confermato la diagnosi di Zika sia nel viaggiatore che nella sua partner”.
“Si tratta perciò di un caso autoctono a probabile trasmissione sessuale – conclude il ricercatore – Ulteriori studi sono in corso negli Stati Uniti e in Inghilterra, dove in un paziente affetto da Zika sono state evidenziate tracce di RNA virale nello sperma anche a distanza di due mesi dalla malattia acuta. E’ quindi probabile che l’infezione rimanga, relativamente a lungo, nel compartimento spermatico. Mentre la comunità scientifica indaga sulla trasmissione sessuale del virus, va precisato che il rischio di diffusione locale dell’infezione in Italia, almeno al di fuori del periodo estivo, resta estremamente basso”.