Diritti, Mondo

Tunisia. Il ministro della Giustizia si oppone alla politica xenofoba del presidente

L’arma del razzismo e della lotta contro l’immigrazione africana come strumento per deviare l’attenzione dei gravi problemi che affliggono la Tunisia, sta divententando una pura questione di ordine pubblico, affidata dal Presidente Kais Saied all’esercito, polizia per contrastare una immaginaria quanto strumentale “sostituzione etnica”.

Questo sta comportando un’escalation di violenze e di gravi violazioni dei diritti umani ai danni dei migranti africani subshariani. Tuttavia la Tunisia è ancora uno Stato basato sulla Democrazia e il Diritto, dove il Presidente (con spiccate tendenze autoritarie) non ha i poteri assoluti che sogna. Il Ministro della Giustizia, Leila Jafgel, si sta opponendo a queste politiche xenofobe cercando di risolvere il problema dell’immigrazione clandestina nel rispetto dei diritti umani e colpendo i fautori: i trafficanti di esseri umani.

Giovedì 6 luglio il Ministro della Giustizia, Leila Jafgel ha incontrato presso la sede del Ministero, il procuratore generale della Corte d’Appello di Sfax, Hafedh Bouassida, e i pubblici ministeri del tribunale di primo grado di Sfad, Fauzi Masmoudi e Hichem Ksibi. L’incontro verteva sullo smantellamento delle reti di migrazione irregolare.

Nelle ultime settimane Sfax è stato l’epicentro dei nefasti effetti delle politiche xenofobe promosse dal Presidente Saied. Tensioni fra cittadini e migranti sono sfociate in guerriglia urbana; i pubblici ministeri della città hanno emesso un ordine di custodia cautelare nei confronti di 33 immigrati irregolare; 20 immigrati (tra cui varie donne, due di esse incinte) sono stati arrestati e deportati alla frontiera libica.

Durante la riunione il Ministro della Giustizia, Leila Jafgel ha sottolineato, secondo un comunicato del dipartimento, la necessità di imporre il rispetto della legge garantendo il pieno rispetto dei principi di uguaglianza e dei diritti umani. Leïla Jaffel ha inoltre sottolineato l’imperativo di fare tutto il possibile per lottare contro tutte le forme di criminalità organizzata e contro qualsiasi crimine volto a minare la sicurezza nazionale con chiaro riferimento ai trafficanti di esseri umani che sono di cittadinanza tunisina ed operano con la complicità della corrotta polizia e con palesi coperture politiche. Per avviare una efficace lotta contro questo network criminale il Ministro della Giustizia ha autorizzato l’attuazione di un programma specializzato volto a migliorare le condizioni di lavoro nei tribunali di Sfax.

Negli ultimi quindici anni la Tunisia ha compiuto progressi significativi nella lotta contro il traffico di esseri umani. Politici e cittadini erano sempre più consapevoli di questo problema. Tuttavia, le misure adottate si sono rivelate insufficienti e il pubblico in generale e le parti interessate del sistema giudiziario avevano richiesto una migliore comprensione del traffico di esseri umani, attribuito a un fenomeno in crescita in cui gli aspiranti ivoriani vengono ingannati dalle agenzie di reclutamento tinisine, che attirano i loro vittime con allettanti promesse di migliorare la loro situazione finanziaria in Tunisia e, in alcuni casi, anche la loro immigrazione in Europa.

Una volta in Tunisia, il “corrispondente” tunisino confisca i loro passaporti e li consegna ai loro datori di lavoro. Le vittime scoprono quindi di essere in debito per diversi mesi di stipendio che i loro datori di lavoro hanno pagato all’agente. Nella maggior parte dei casi, le vittime sono costrette a lavori di semi schiavitù, lavorando tra le 16 e le 18 ore al giorno in totale isolamento e senza alcun accesso a cibo sufficiente o cure mediche. La tratta colpisce anche altre nazionalità, tra cui nigeriani, maliani, camerunesi, ghanesi, senegalesi, congolesi, colombiani e filippini.

L’impegno della Tunisia nella lotta al traffico di esseri umani é inziato nel 2003 quando il Paese ha ratificato il Protocollo di Palermo. È stato un primo passo importante che riflette gli sforzi globali per combattere la tratta di esseri umani a livello nazionale. Dopo la rivoluzione tunisina del 2011, la società civile ha rafforzato questi sforzi e diverse organizzazioni, comprese le Nazioni Unite e le associazioni locali, hanno iniziato a sostenere lo sviluppo di un quadro giuridico coerente per combattere la tratta di esseri umani.

La crescente consapevolezza sociale e la volontà politica di affrontare la questione hanno portato all’adozione unanime, nel 2016, della Legge organica n. 2016-61. Ispirandosi al Protocollo di Palermo, la legge mirava ad eliminare lo sfruttamento in Tunisia, in particolare quello delle donne e dei bambini, attraverso la criminalizzazione degli atti che costituiscono tratta o sfruttamento forzato, nonché l’eventuale assistenza ai trafficanti. Secondo Le Goff, la nuova legge “ha incoraggiato le vittime a rompere il silenzio”. Il numero di segnalazioni all’OIM ha raggiunto le 114 vittime nel 2017, rispetto alle 54 del 2016, alle 28 del 2015 e alle sole 8 del 2013.

Il Presidente Kais Saied ha interrotto e vanificato questi sforzi nella lotta al traffico di esseri umani già indeboliti negli ultimi tre anni dalla connivenza della polizia tunisia che sta diventando sempre più corrotta. E’ proprio la ripresa della lotta al traffico di esseri umani che il Ministro della Giustizia Leila Jafgel vuole attuare al fine di impedire derive sociali, violenze e violazioni dei diritti umani.

Rimane tuttavia ferma la convinzione del Ministro della Giustizia, Leila Jafgel che la Tunisia deve rifiutare qualsiasi logica di trasformarsi in un carcere preventivo di immigrati che cercano di raggiungere l’Europa in cambio di sostegno finanziario come è stato recentemente proposto dal governo Meloni e dall’Unione Europea. Inoltre occorre anche arrendersi all’evidenza che l’attuale situazione economica del Paese non permette di assorbire gli immigrati e integrarli nel tessuto produttivo tunisino.

L’aumento dell’immigrazione irregolare dai Paesi subshariani che si è registrato negli ultimi tre anni è dovuto da due precisi fattori: il rafforzamento del network criminale colluso con gli apparati statali e le politiche razziali anti migrazione adottate dall’Unione Europea e rivolte a Libia ed Egitto. In pratica la Tunisia è diventata progressivamente la meta più facile per raggiungere l’Europa.

Purtroppo gli sforzi contro i trafficanti di esseri umani che il Ministro Leila Jafgel è intenzionata a promuovere, da soli non saranno sufficienti per stroncare il triste fenomeno. Per risolvere l’immigrazione irregolare alla radice occorre che la Tunisia possa accedere ed usufruire di un reale sviluppo economico e di investimenti inseriti in un piano strategico regionale (Nord Africa) e continentale. Uno sviluppo economico negato tutt’ora dall’Unione Europea ma possibile grazie ad una visione non imperialistica ma business oriented dei BRICS di cui la Tunisia ha chiesto di far parte.

Da parte nostra, in Occidente, occorre abrogare le scellerate leggi Shengen che hanno trasformato la migrazione da regolare a irregolare e, peggio ancora selettiva su basi razziali. A titolo di esempio una delle più grosse comunità di immigrati in Italia proviene dalla Cina. Gli immigrati cinesi non riscontrano particolari problemi di visto. Con l’inizio dell’orribile conflitto in Ucraina anche l’immigrazione da quest’area di conflitto è resa possibile e facilitata dal governo italiano mentre altri immigrati provenienti da altrettanti orribili conflitti si vedono spietamente negare la possibilità di asilo.

Occorre che l’Europa comprenda che è tecnicamente impossibile fermare i flussi migratori, quindi vanno gestiti non con politiche razziste e azioni militari appoggiando regimi nordafricani corrotti o autoritari. I flussi migratori vanno gestiri in modo regolare. Chiunque deve avere il diritto di venire nel nostro Paese con un visto regolare, spesso turistico, che possa essere trasformato in permesso di studio o di lavoro. Non servono politiche assistenziali rivolte agli immigrati che giungono in Italia, in quanto queste politiche creano sacche di esclusione e di tensione che prima o poi si trasformano in scontri etnici come sta succedendo in Francia. Occorre dare dignità all’immigrato attraverso il lavoro. E, credetemi, di lavoro in Italia ce nè e anche tanto, visto che molti lavori manuali non sono più fonte di interesse per noi italiani.

Fulvio Beltrami

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