Politica

Mentre i reazionari legiferano per ripristinare tortura, deportazione e divieto d’aborto la sinistra crede di esistere, ma senza pensare non è

L’unica buona notizia in questa storia è che c’è stato un sit-in di protesta davanti a Montecitorio contro l’emendamento di Fratelli d’Italia al dl Pnrr, che prevede la presenza di comitati Pro vita nei consultori.“Quello che sta facendo il governo è un attacco all’autodeterminazione di tutte le persone”, afferma a LaPresse Mari, attivista del coordinamento dei consultori del Lazio, che insieme ad altre associazioni, tra cui “Non una di meno”, ha organizzato la protesta.

“Fuori gli antiabortisti dai consultori”, “Il diritto all’aborto non si tocca”. È questo il grido d’allarme lanciato dagli organizzatori del sit in. Presenti in piazza anche Pd, M5S e Avs.

“Inserire all’interno dei consultori le associazioni pro vita è veramente un’offesa e una vergogna. Già abbiamo una legge, la 194, che ha nel suo percorso che prevede la settimana di riflessione. Già questo è un problema, nel senso che le persone quando arrivano ad abortire hanno già deciso di farlo, non hanno bisogno di riflessioni. Figuriamo se hanno bisogno di colpevolizzazioni e di stigmatizzazioni”, ha aggiunto Mari.

Una reazione condivisibile se non fosse che si ha sempre la sensazione che non sia sufficientemente chiara nell’esposizione e dunque non propriamente lecita finché non si definiscono gli aspetti scientifici della materia. Se non si chiarisce che non esiste anestesista in grado di dar vita a un feto di una ventina di settimane, di quale diritto parliamo? E’ deprimente sentir dire da autorevoli rappresentanti della sinistra nostrana che l’aborto è un’esperienza struggente, ma che la donna deve essere libera di scegliere. Scegliere cosa?  Fin quanto non si ha piena consapevolezza medico scientifica che un feto è solo un ammasso di cellule incapace di nascere, sopravvivere e diventare un essere umano, quella fantomatica libertà viene legittimamente letta come “libertà di uccidere”.
Meglio sarebbe dunque tornare a studiare biologia e medicina prima di parlare in un contesto storico che vede il ritorno dei reazionari al potere in mezzo mondo.  Non è un bel periodo, infatti, diciamocelo. Assistiamo ad un’impressionante regressione che riporta gli esseri umani nelle trincee a uccidersi per un pezzo di terra. Diversamente dagli anni sessanta quando prevaleva l’arte della trasformazione culturale, artistica, sociale e politica ora anziché migliorare, mettendo a centro del nostro dibattito una nuova concezione di essere umano, ci ammazziamo in scontri territoriali e abbozziamo distratti a genocidi che si consumano in vari angoli del pianeta. E “Mentre l’Europa definisce l’aborto diritto fondamentale dell’Unione e in Francia questo diritto viene inserito nella Costituzione, in Italia il partito di maggioranza usa un voto di fiducia sul PNRR per far entrare il movimento cosiddetto pro-vita nei consultori. Si conferma che sul tema dei diritti delle donne questo governo, se interviene, lo fa senza investimenti e chiamando in causa i pro-vita per ribadire e rafforzare l’attacco alla legge 194, che già vede una sostanziale mancata applicazione della legge dello Stato sul diritto di scelta alla maternità consapevole. Sapevamo già che avere una legge non significa avere acquisito quel diritto, ma questa proposta è inascoltabile, irricevibile e fuori dalla storia”. Lo dichiara Antonella Veltri, presidente D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza.

“Ci chiediamo quale sia l’idea di maternità di questo governo e di chi pensa di poter decidere sui corpi delle donne. I numeri dicono chiaramente che non è certo il ricorso all’aborto la causa della denatalità in Italia” – continua la presidente. “Sarebbe invece importante implementare i servizi a supporto dell’infanzia e rendere effettivamente applicata la legge 194. Le donne in Italia si batteranno per raggiungere l’obiettivo raggiunto in Francia. Basta proclami e propaganda sulle nostre vite”, conclude Veltri.

In Italia l’accesso all’aborto volontario è regolato dalla legge 194 del 22 maggio 1978 che tutela il diritto della donna alla salute fisica o psichica, qualora questa sia messa a rischio dalla prosecuzione della gravidanza, dal parto o dalla maternità.

➡ Il limite dei 90 giorni

Entro i primi 90 giorni (ossia 12 settimane e 6 giorni dall’ultima mestruazione), l’aborto è ammesso sulla base di una autonoma valutazione della donna, che lo richiede perché ritiene che la prosecuzione della gravidanza possa rappresentare un pericolo per la sua salute fisica o psichica.

Dopo il novantesimo giorno (da 13 settimane, contando dal primo giorno dell’ultima mestruazione), l’aborto è ammesso solo nei casi in cui un medico rilevi e certifichi che la gravidanza costituisce un grave pericolo per la vita della donna o per la sua salute fisica o psichica (a esempio: a causa di gravi anomalie genetiche o di malformazioni dell’embrione o del feto, oppure a causa di gravi patologie materne come tumori o patologie psichiatriche).

Sia prima sia dopo il novantesimo giorno, per accedere all’interruzione di gravidanza (IVG) la donna deve rivolgersi a un medico (del consultorio o anche un medico di sua fiducia), che deve redigere un documento attestante la richiesta della donna. Il documento (certificato, se il medico attesta l’urgenza della procedura) è indispensabile per accedere all’IVG.

Nel caso in cui il medico non consideri urgente l’intervento, invita la donna a rispettare un periodo di “riflessione” di sette giorni, trascorsi i quali la donna può rivolgersi a un centro autorizzato per l’espletamento della procedura. È importante sottolineare che nella valutazione dell’esistenza di condizioni tali da rendere urgente la procedura, il medico deve sempre tenere presente che l’incidenza di complicazioni aumenta progressivamente con l’aumentare dell’età gestazionale.

Il modo più semplice per ottenere il documento o il certificato è di rivolgersi a un consultorio PUBBLICO, non di ispirazione religiosa. Nella gran parte dei casi il consultorio assicura anche tutta la procedura, fino alla prenotazione nell’ospedale di riferimento.

Aborto terapeutico: cos’è

Secondo la legge 194 del 1978 tutte le interruzioni volontarie della gravidanza sono “terapeutiche”, poiché l’aborto è ammesso solo nei casi in cui la gravidanza o il parto costituiscano un pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Tuttavia, comunemente viene definito “terapeutico” l’aborto praticato oltre il novantesimo giorno di gestazione (cioè nel secondo trimestre di gravidanza).

La legge 194 lo regola agli articoli 6 e 7: l’aborto oltre il novantesimo giorno è consentito

  1. Quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna.
  2. Quando siano accertati processi patologici che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna, quali: gravi patologie della donna, fisiche (a esempio patologie tumorali, cardiopatie gravi, gravi patologie della gravidanza, come la rottura del sacco amniotico con elevato rischio infettivo ecc.) o psichiche; malformazioni o malattie fetali che potrebbero mettere a rischio la salute fisica o mentale della donna.

Questi processi patologici, e il conseguente pericolo per la salute della donna, devono essere certificati dal medico, che può avvalersi a tal fine di apposite indagini (ecografie, risonanze o radiografie, villocentesi e amniocentesi), nonché di consulenze specialistiche (genetista, radiologo, psichiatra).

La legge 194 non definisce un limite di epoca gestazionale per l’aborto terapeutico, ma all’articolo 7 stabilisce che, nel caso in cui il feto abbia raggiunto uno stadio di sviluppo che ne permette la sopravvivenza al di fuori dell’utero (cioè attorno alle 22-24 settimane), il medico metta in atto tutti gli interventi per salvaguardarne la vita; pertanto, al fine di scongiurare la nascita di bambini con gravissimi handicap, si tende a non  procedere oltre le 22-24 settimane, pur tenendo sempre in conto la compatibilità della patologia fetale con la possibilità di vita autonoma.

È dunque praticamente impossibile reperire in Italia centri che pratichino Interruzioni volontari di gravidanza terapeutiche oltre la ventiduesima settimana. Le donne che ricevono una diagnosi di grave patologia fetale oltre quest’epoca gestazionale sono dunque costrette a rivolgersi all’estero per abortire.

Metodiche per l’aborto

L’aborto può essere effettuato con il metodo chirurgico o con il metodo farmacologico.

Il metodo chirurgico viene eseguito generalmente dalla settima alla 14-15 settimana e prevede il ricovero in day-hospital. Consiste nell’aspirazione della camera gestazionale, o isterosuzione, in anestesia locale, con o senza sedazione, o in anestesia generale. Il raschiamento è gravato da maggiori complicazioni rispetto all’isterosuzione e non dovrebbe essere eseguito se non in rarissimi casi particolari.

Per l’aborto farmacologico (QUI ulteriori informazioni) si utilizzano due farmaci, il mifepristone, più noto come RU486, e una prostaglandina, il misoprostolo. È una procedura altamente sicura ed efficace, che può essere eseguita in regime ambulatoriale oppure in ospedale, in regime di ricovero di day-hospital.


La situazione oggi

In base alla relazione al Parlamento sull’applicazione della Legge 194 in Italia nell’anno 202o (Consulta il testo qui), il numero di IVG risulta essere stato di 66.413 interruzioni volontarie di gravidanza, con una riduzione del 9,3% rispetto al dato del 2019. Negli anni dal 1983, anno in cui si è avuto il più alto numero di IVG in Italia, pari a 234.801 casi, si è rilevata una continua diminuzione.

Ultimo aggiornamento: 05 luglio 2022

Dalla relazione ministeriale si può vedere come, dopo oltre 40 anni (→Ascolta l’intervista a Mirella Parachini sui 40 anni della legge), la legge sia ancora applicata male e addirittura non applicata in molti suoi punti e in molte aree del nostro paese, un quadro grave e ben descritto dall’indagine Mai Dati, consultabile sul nostro sito. Inoltre, dopo oltre 40 anni, la legge stessa ha mostrato inadeguatezze nel testo, da cui originano ingiustizie inaccettabili e che dovrebbero essere modificate per garantire realmente a tutte il diritto alla salute, se non quello all’autodeterminazione.

La principale riguarda gli articoli 6 e 7 della legge: nel caso in cui sia fatta una diagnosi tardiva di grave patologia fetale, oltre la ventiduesima settimana, quando il feto ha raggiunto la possibilità di vivere al di fuori dell’utero (viability), la donna è costretta ad andare all’estero per abortire. Oltre quell’epoca gestazionale, infatti, si deve provocare con i farmaci un travaglio abortivo e il medico che esegue l’aborto dovrebbe mettere in atto quanto possibile per salvaguardare la vita del feto; non potendo eseguire il feticidio, qualora il feto, seppur affetto da gravissima patologia, nascesse vivo, il medico dovrebbe rianimarlo, aggiungendo al danno della malattia primaria anche quello legato alla grave prematurità.

Lo stesso limite del novantesimo giorno è causa di ingiustizie, stabilito esclusivamente dalla fantasia del legislatore. Lo sviluppo intrauterino è infatti un continuum, nel quale si può definire un punto di interruzione solo con il raggiungimento della viability. Anche in questo caso, le donne che fossero arrivate tardivamente a una diagnosi di gravidanza, in assenza di condizioni previste dagli articoli 6 e 7 della legge 194, dovrebbero recarsi all’estero per interromperla.

 

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