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Najla Aqdeir, esclusa da Coppa di atletica

MILANO – “Non riesco a darmi pace. Non è giusto. E non voglio che succeda in futuro ad altri giovani atleti”: Najla Aqdeir è una giovane promessa dell’atletica leggera, specializzata nei 3 mila metri siepi. Nata in Libia, ha 23 anni e da 13 è in Italia. Ha un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria. È insomma una rifugiata. Per l’atletica ha rotto anche i rapporti con i suoi genitori che non volevano praticasse questo sport. Gli ostacoli, insomma, non la intimoriscono. Nei giorni scorsi doveva essere a Birmingham, nel Regno Unito, per correre alla Coppa Europa per club. Ma non ha potuto. Le autorità britanniche non le hanno concesso il visto, necessario perché ha il passaporto libico: temevano che il suo vero obiettivo non fosse quello di vincere, ma di rimanere irregolarmente nel territorio di Sua Maestà. “Abbiamo dato tutte le garanzie possibili – spiega Franco Angelotti, presidente della Bracco Atletica, la società sportiva per cui Najla gareggia da professionista – . Ma non c’è stato nulla da fare. È incomprensibile: Najla ha un lavoro (è anche baby sitter e indossatrice, ndr), è una professionista dell’atletica, ha qui tutti i suoi interessi e affetti. Non si capisce come possano sospettare che voglia emigrare in un altro Paese”. E Najla non ci sta a subire un’ingiustizia. Per questo ha denunciato il fatto sui suoi profili social. “Io mi sento italiana e tra qualche anno potrò chiedere la cittadinanza – afferma -. Ma non voglio stare zitta, voglio fare sapere a tutti quello che mi è successo”. 

Nell’agosto del 2017 Najla è stata anche negli Stati Uniti per una gara, in Oregon. “Mi hanno fatto molte domande, prima di rilasciarmi il visto. Hanno verificato che le informazioni che avevo fornito sui miei lavori fossero vere, così come l’appartenenza alla Bracco atletica. Non capisco quindi perché la Gran Bretagna non voglia credermi. Sul mio passaporto c’è il timbro degli Stati Uniti. Sono stata in Portogallo e anche in altri Paesi”. Il rifiuto del visto potrebbe avere comunque strascichi internazionali. “Najla doveva partecipare a una gara ufficiale, aveva l’invito della Federazione inglese di atletica. Si tratta di una gara riconosciuta dal Comitato olimpico internazionale – sottolinea Franco Angelotti – . Si tratta quindi di un caso grave, che crea un precedente pericoloso. Perché così di fatto sono le autorità nazionali che possono decidere chi può partecipare o meno a una gara”.

Per Najla lo sport non dovrebbe avere confini. Sul suo profilo Instagram ha scritto: “Ho sempre pensato che lo sport fosse fatto per unire e non per dividere (…). In questo momento dove per tutti, Stati e individui, è più facile dividere e chiudersi, voglio alzare la voce e dire al mondo che io non smetterò di gareggiare e di farlo anche a livello internazionale, perché è un mio diritto. Questa volta è andata così, ma se sono qui a scrivere la mia storia, è perché non ci deve essere un’altra Najla che non può competere fuori dall’Italia. Lo sport deve essere un diritto di tutti. Io voglio solo correre”. (dp)

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