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Biden: “Non ho chiesto il cessate il fuoco a Netanyahu”. Il premier israeliano travolto dallo scandalo per le grosse tangenti ricevute dal Qatar

Il presidente Joe Biden ha dichiarato di non aver chiesto al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu un cessate il fuoco nella lunga telefonata che hanno avuto il 23 dicembre.

“Ho avuto una lunga conversazione con Netanyahu oggi ed è una conversazione privata”, ha detto Biden ai giornalisti a Washington. “Non ho chiesto un cessate il fuoco”, ha precisato.

Il presidente ha assicurato il sostegno degli Usa pur esprimendo preoccupazione per il crescente numero di vittime e la crisi umanitaria a Gaza.

Intanto Benjamin Netanyahu è alle prese con nuovi guai. Il primo ministro israeliano è, infatti, finito al centro di una vicenda di presunte mazzette provenienti dal Qatar. A rivelare la presenza di alcune lettere incriminanti è Yigal Carmon, ex consigliere per l’antiterrorismo dei premier Yitzhak Rabin e Yitzhak Shamir. Secondo il colonnello ormai in pensione, «questa vicenda inizia a diventare una tempesta politica» e potrebbe portare «alla caduta di Netanyahu». Nei giorni scorsi, Carmon ha pubblicato alcuni documenti potenzialmente incriminanti sul sito di Memri (Middle East Media Research Institute), un think tank da lui fondato e presieduto.

Si tratta di alcuni documenti interni del governo del Qatar, hackerati da un’organizzazione finanziata dagli Emirati Arabi Uniti, che proverebbero il trasferimento di decine di milioni di dollari dal governo di Doha alle tasche del premier israeliano. «Netanyahu è un collaboratore, un prigioniero, un ostaggio che non può criticare il Qatar, perché l’emirato reagirebbe», osserva Carmon. All’origine di questa fuga di documenti riservati c’è il cosiddetto «Project Raven», una squadra di esperti informatici composta in gran parte da ex agenti dei servizi segreti americani reclutati dagli Emirati Arabi Uniti. L’obiettivo? Sorvegliare attivisti critici nei confronti della monarchia, ma anche tenere d’occhio altri governi. In particolare sarebbero stati presi di mira Turchia, Francia, Iran, Yemen, Qatar, Libano e Israele.

Tra le decine di documenti trafugati dagli Emirati Arabi nell’ambito del «Project Raven» ci sarebbero anche due comunicazioni che legherebbero le campagne elettorali di Netanyahu alle autorità del Qatar. Il primo documento è una lettera del 2012, in cui il ministro delle Finanze di Doha parla al premier di un finanziamento da 15 milioni di dollari «a Benjamin Netanyahu, capo del Likud, come partecipazione nel sostegno nella prossima campagna elettorale». La seconda lettera risale invece al 2018. In questo caso, sarebbero 50 milioni i soldi versati dal Qatar al premier israeliano, che – si legge nel documento – necessita di «un rapido sostegno finanziario». Una montagna di denaro utilizzato anche per sostenere Hamas e indebolire L’Autorità Nazionale Palestinese. L’attendibilità di questi documenti non è ancora stata confermata. Qualora lo fosse, potrebbe portare alla fine definitiva della carriera politica di Netanyahu.

Dopo infinite contraddizioni prova ora a porre rimedio l’Unione Europea. Mentre, infatti, l’alleato israeliano insiste sull’esclusione dell’Anp dal futuro politico dell’area, la Commissione europea ha approvato un pacchetto di aiuti finanziari da 118 milioni di euro al governo di Ramallah.

Serviranno, dice Bruxelles, al pagamento degli stipendi e delle pensioni dei dipendenti pubblici dell’Anp in Cisgiordania (da tempo ridotti a causa del trattenimento da parte di Israele delle tasse che Tel Aviv raccoglie al posto di Ramallah) e al sostegno di famiglie in difficoltà a Gaza (dettagli non specificati).

Una parte dei fondi andrà poi agli ospedali di Gerusalemme est, la parte palestinese della città, per coprire i costi dei ricoveri medici. Dopo il 7 ottobre, la Ue aveva minacciato il taglio dei fondi all’Anp, minaccia poi rientrata.

 

 

 

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