Ambiente

Capodogli suicidati dai sonar militari

«Amo la natura e gli animali e sono nato in una realtà dove si confrontano ogni giorno esigenze industriali a quelle ambientali. Ho fatto una scelta di vita ben precisa. Forse anche per questo, trascorro gran parte del mio tempo a studiare il comportamento della fauna marina».

A parlare è Sandro Mazzariol, ricercatore presso l’Università degli Studi di Padova e docente di anatomia patologica generale e tecniche anatomo-patologiche intervenuto a Vasto a coordinare la necroscopia sui tre capodogli morti a seguito dello spiaggiamento. Dal 2006 coordina l’Unità di intervento per la necroscopia dei grandi cetacei per il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare. Il docente vive in pratica tra le carcasse di animali marini, e in particolare tra i cetacei. «Detto così – spiega ai giornalsti – la cosa suona un pò strana. Diciamo che il mio ambito di ricerca è individuare le cause di morte dei cetacei che spiaggiano lungo le coste italiane e del Mediterraneo. In particolare mi occupo dello spiaggiamento cosiddetto anomalo di balene o di massa».

Il nucleo operativo si chiama Cetacean stranding emergency response team (Cert) frutto di una convenzione con il Dipartimento di Biomedicina Comparata ed Alimentazione dell’Università degli Studi di Padova. In questo contesto Mazzariol può essere considerato alla stregua di George Clooney della serie televisiva «E.R. medici in prima linea».

Alla domanda se i capodogli sono spiaggiati per cause antropiche o patologie particolari il ricercatore dell’Università di Padova taglia corto. «Sono animali che come tutti gli altri soffrono di patologie spontanee, anche se gli uomini ci mettono lo zampino. Essere animali grandi non vuol dire esserne immuni. Siamo stati di recente a un workshop a Princeton con il professor Giovanni Di Guardo dell’Università di Teramo, che ha collaborato alla necroscopia dei tre cetacei a Vasto, dove abbiamo studiato il morbillivirus che è simile al nostro morbillo e al cimurro del cane, ed abbiamo scoperto che il capodoglio è sensibile anche a questa malattia. Non si esclude nulla, si ricerca tutto».

«Bisogna stare attenti, un conto sono le ipotesi, altra cosa è l’evidenza scientifica. Si è parlato di trivellazioni per l’Abruzzo. Non si tratta di correlazione diretta alle trivellazioni, tuttavia l’attività di ricerca di petrolio e gas potrebbe per certi versi danneggiare l’animale e su questo stiamo indagando. Al momento non è documentato in nessun lavoro la correlazione diretta tra l’esposizione a queste fonti di suono e lo spiaggiamento dei cetacei. Ciò che è documentato è la correlazione tra l’esposizione a sonar militari di media frequenza e la sindrome embolica. Mi posso aspettare più facilmente un danno all’orecchio, che abbiamo prelevato qui a Vasto e cercheremo di indagare se ci sono stati dei danni diretti».

L’episodio di Vasto, a ridosso di una Riserva Naturale Punta Aderci, non può non ricordarci lo spiaggiamento di dicembre 2009 nel Gargano, dove sette capodogli maschi si arenarono durante una fredda giornata invernale.

In quel caso gli sforzi per far riprendere il largo agli animali furono vani. Malgrado la somiglianza con questo evento e il fatto che anche cinque anni fa già si parlò di ipotetico disturbo da parte dei cannoni usati nelle ricerche di idrocarburi,  differenze notevoli nelle condizioni degli animali saranno un interessante spunto per i team di ricerca.

I sette capodogli morti sulle spiagge di Vairano, in provincia di Foggia, erano tutti maschi, molti dei quali non contenevano né becchi di calamari né parassiti nello stomaco: non si nutrivano da tempo. Uno di questi, il più grande, risultò avere un ingente quantità di materiale plastico nello stomaco, nonché un pesante cavo di acciaio.Un controllo preliminare dei contenuti stomacali delle tre femmine morte sulle spiagge abruzzesi invece ha evidenziato che si fossero alimentate recentemente, e la nutrita presenza di parassiti del genere Anisakis sembrava confermare questa osservazione: paradossalmente la presenza di questi parassiti, caratterizzati da un complesso ciclo vitale, può infatti indicare che la rete trofica marina sia integra.

Foto esclusiva di Paolo Cipriani

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