Editoriale

Come crescono le bufale

E’ ormai noto quanto il fattore “fake news” influenzi la politica italiana, e non solo, in questa fase storica. Tra le tante “bufale” che circolano sul web e che condizionano sempre più pesantemente la formazione delle opinioni negli utenti dei vari siti web, ci sono quelle, sa va san dir, sui migranti. L’opinione diffusa è che il flusso migratorio stia invadendo l’Europa e che questo fenomeno stia portando alla rovina l’economia dei Paesi più coinvolti e, ancor più grave, che stiano portando malattie. La prima cosa che c’è da dire è che questo è un fenomeno che storicamente è sempre esistito. Le sacre scritture sono piene di racconti di migrazioni più o meno forzate a cominciare dalla fuga di Mosè dall’Egitto. Prima e dopo quegli eventi spostarsi dal luogo di nascita o di residenza per cercare migliori condizioni di vita o scappare da calamità naturali, guerre, carestie ecc. ha sempre fatto parte dell’esperienza del genere umano. Si calcola che siano circa un miliardo le persone che migrano annualmente (di 200mila sono italiani). Di queste i profughi propriamente detti sono circa 60 milioni. Tre quarti si sono spostati all’interno del proprio Paese, un quarto è uscito fermandosi nel primo Paese confinante (migrazione di prossimità) e solo il 13% ha cercato (non sempre riuscendoci) di raggiungere nazioni sviluppate, tra queste i Paesi europei. Per fare un esempio concreto possiamo citare i Siriani. Dall’inizio della guerra sono oltre 13 milioni i profughi di questo disgraziato Paese. Quelli che hanno chiesto asilo in Europa sono stati 937.718. La gran parte di loro sono rimasti in Medio Oriente (1milione in Libano, oltre 3 milioni in Turchia, quasi 1 milione in Giordania). Volendo rimanere soltanto sul piano dell’analisi fattuale, lasciando in secondo piano l’aspetto etico della responsabilità sociale e quindi delle implicazioni umanitarie del fenomeno migratorio (sembrano ormai definitivamente perduti i valori di solidarietà e di accoglienza), l’analisi economico/sociale della presenza di migranti sul territorio europeo in genere e italiano in particolare portano a sorprendenti risultati. Il migrante sembra essere un” valore” più vicino al concetto boldriniano di “risorsa” che quello salviniano di “parassita”. La rivista Lancet ha recentemente compiuto uno studio molto approfondito sull’argomento, da quale si evince, infatti, che “per ogni punto percentuale di migranti rispetto alla popolazione adulta, una Nazione vede aumentare fino al 2% il reddito individuale grazie a maggiori consumi e produttività”. Per quanto riguarda l’Italia uno studio della Fondazione Moressa pubblicato nel 2015, evidenzia, per esempio, come in un solo anno “In Italia 620mila anziani devono ringraziare gli immigrati: sono loro a ” pagargli” la pensione. Nell’ultimo anno infatti i lavoratori stranieri hanno versato ben 10,29 miliardi di euro in contributi previdenziali. Essendo prevalentemente in età lavorativa, i migranti sono soprattutto contribuenti. Non a caso, oggi la popolazione con più di 75 anni rappresenta l’11,9% tra gli italiani, solo lo 0,9% tra gli stranieri”. Lo studio pubblicato da Lancers è stato coordinato dall’epidemiologo Ibrahim Abubakar dell’University College London il quale sfata anche un’altra falsa convinzione, quella secondo la quale i migranti portano malattie. Il rischio infettivo è favorito dagli spostamenti veloci (aerei, navi, treni) che sono preclusi ai migranti clandestini che devono affrontare lunghi viaggi prima di arrivare nei nostri Paesi. I migranti piuttosto si ammalano nei luoghi di arrivo a causa delle pessime condizioni di vita alle quali sono sottoposti. Basti pensare alle condizioni di vita nei vari “ghetti” come quello di Borgo Mezzanone nelle campagne di Foggia dove vivono ammassati in condizioni disumane migliaia di braccianti agricoli sfruttati nelle aziende agricole locali. La clandestinità, inoltre, induce a non fruire delle strutture sanitarie pubbliche o private con conseguenti rischi anche per la popolazione residente. Dati analoghi furono già pubblicati a Ginevra nel 2013 da parte dell’International Organization for Migration Office of the High Commissioner for Human Rights con il suo “International migration, health and human rights report”. Un cavallo di battaglia “sovranista” è poi la presunta tendenza ad una egemonia culturale causata dalle nascite di nuovi residenti di origine straniera. Il numero medio di figli per una donna migrante è 2,1 non dissimile da quello medio europeo (fare figli lontani dalla famiglia di origine è particolarmente oneroso). Questo dato è di poco più alto della media italiana ma solo perché la tendenza delle coppie nostrane ormai da una paio di generazioni è quello di avere mediamente 1 o 2 figli al massimo ponendosi tra i paesi meno prolifici in Europa. Le politiche dei Paesi “sovranisti” vanno, pertanto, nella direzione opposta a quelle che si dovrebbero praticare nell’interesse collettivo. Lo spopolamento di interi territori (dato che riguarda quasi tutti i Paesi europei ma in particolare l’Italia) dovrebbe indurre i governi da una parte a investire in sostegno alle famiglie e dall’altra ad integrare sempre più i migranti interrompendo i flussi clandestini a vantaggio di una politica dell’accoglienza che ripristini la buona pratica della concessione di visti regolari per i cittadini di Paesi “normalizzati” e apra corridoi umanitari a favore delle popolazioni di Paesi colpiti da guerre e carestie. La spocchiosa distinzione tra migranti economici e profughi è anacronistica da molti punti di vista. Intanto perché è contraria a tutti i trattati internazionali che riconoscono il diritto di spostarsi da un Paese all’altro anche “solo” per una propria volontà di cercare migliori condizioni di vita e poi perché storicamente, come si è già detto sopra, la migrazione ha avuto ragioni varie e tutte rispettabili. Basti ricordare il fatto che l’intera epopea delle varie ondate migratorie di cittadini italiani è stata provocata dalla miseria. Tranne i perseguitati dal regime fascista, i migranti italiani erano migranti economici e non profughi. Le persone hanno diritto di migrare anche solo “perché glie va”, se ne faccia una ragione l’onorevole Meloni. Si è molto parlato del sistema Riace che non a caso, rappresentando un esempio di buona gestione dei flussi migratori, della gestione del territorio e dello sviluppo dell’economia locale è stato prontamente smontato (era l’esempio plastico di quanto fosse sbagliata la politica sovranista). Ma di esperienze simili a quella di Riace, fortunatamente, ce ne sono molte altre (a partire dalla rivolta dei sindaci democratici partita da Palermo e che sta allargandosi in tutti il territorio nazionale). Il sistema degli SPRAR, peraltro introdotto dalla legge Bossi/Fini ha generato interessanti esperienze sul territorio che andrebbero analizzate e sostenute. Sappiamo, invece, che gli SPRAR si stanno sostituendo con i meno efficaci CAS, ma di questo ci occuperemo in un altro articolo. Un’altra politica non solo è possibile ma è indispensabile perché, come conclude lo studio del Prof. Ibrahim Abubakar “escludere gli immigrati da lavoro, case popolari, istruzione e sanità non solo peggiora la loro vita, ma mette a rischio la nostra salute, economia e convivenza sociale”. Purtroppo, come dicevano le nostre nonne: “Non c’è peggior sordi di chi non vuol sentire”.

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