Editoriale

Da Parigi a Bruxelles, il fallimento della libertà

Ricomincio a scrivere. Penso alla libertà che mi sono preso, in questi ultimi mesi: forse, in apparenza senz’altro, per mancanza di tempo per il moltiplicarsi degli impegni di lavoro, nel calcio. O forse per una volontà non manifesta, probabilmente in segno di rispetto verso parole nuove da studiare e comprendere, per dare un senso più profondo ad una preziosa ricerca, personale e collettiva. Parole, dieci o forse più, che partono dal principio della vita di un essere umano e arrivano fino al punto più alto di una ricerca impossibile, che non si esaurisce mai e non può tollerare quella violenta “mancanza” che fa sparire l’umano e che si manifesta e si propone oggi a noi per effetto di un patto diabolico tra alcuni disonesti esponenti della cultura e del sapere istituzionale e certa stampa autoritaria e compiacente. Già, perché soltanto esserci di per sé senza un’“assenza”, ed essere così per l’altro, scongiurerebbe alla radice ogni forma di terrorismo. Quello che invece confonde, offusca la mente e paralizza il pensiero, e che materialmente ha sconvolto la Francia ed ora anche il Belgio.

Da Parigi a Bruxelles. Nel tempo indefinito di questa inaspettata pausa di riflessione, si è passati così dalla strage di Saint-Denis dello scorso 13 novembre ad opera dell’ISIS – che ha avuto come appendice la reazione francese culminata cinque giorni più tardi con la cattura e l’assassinio di Abdelhamid Abaaoud responsabile degli attentati terroristici – alla doppia esplosione in aeroporto e nel metrò della capitale belga avvenuta il 22 marzo 2016, altra data già divenuta tristemente famosa. Che Abaaoud fosse la “mente” degli attacchi terroristici, lo ha detto lo stesso Salah Abdeslam secondo i verbali dell’interrogatorio dello scorso 19 marzo a Bruxelles, rivelati proprio poche ore fa dal quotidiano francese Le Monde. Abdeslam ha rivelato, tra le altre cose, che avrebbe voluto farsi esplodere allo Stade de France, come previsto nel piano terroristico, rinunciando in un secondo momento. Salah, il principale ricercato per gli attentati di Parigi, è stato ferito ed arrestato una settimana fa nel blitz di Molenbeek, città di 90mila abitanti e 22 moschee che lo ha “protetto” per quattro mesi.

Il giorno dopo l’ennesima strage di innocenti, anche il quotidiano sportivo italiano La Gazzetta dello Sport ha dedicato numerose pagine ai fatti di Bruxelles attraverso approfondimenti, considerazioni ma soprattutto perplessità e domande: «Come mai il Belgio non è riuscito a venire a capo del terrorismo? Fermeranno anche l’Europeo?». No. Intanto si è deciso che anche l’incontro amichevole tra il Belgio ed il Portogallo, originariamente previsto per martedì 29 marzo a Bruxelles e cancellato dopo gli attentati nella capitale belga, in realtà si giocherà nello stesso giorno a Leiria, pur se in Portogallo cioè a campi invertiti. Ma, anche se il nostro Giancarlo Abete, attuale vice-presidente del calcio europeo, ha parlato della possibilità di gare da disputarsi senza la presenza del pubblico, nessuno mette in dubbio il regolare svolgimento dei prossimi Europei di calcio. L’UEFA ha preso subito una posizione decisa in merito: «Non è prevista la disputa di partite a porte chiuse». Mentre il Primo Ministro francese Manuel Valls si è così espresso: «Annullare o rinviare l’Europeo vorrebbe dire darla vinta a questi vigliacchi».

L’attaccante argentino Matías Suárez in forza all’Anderlecht (la più titolata società di calcio del Belgio che ha sede nei pressi della capitale) ha detto: «A Bruxelles abbiamo un quartiere nel quale vivono molti jihadisti e tanta gente coinvolta in questi brutti fatti. Parlando con mia moglie e i nostri amici, temevamo che potesse succedere qualcosa del genere». I giovani di Molenbeek, dopo l’arresto di Salah, hanno lanciato bottiglie contro i poliziotti. La diffusione dell’estremismo islamico in Belgio è cosa nota da tempo. Il sistema politico è frammentato. La sola libertà produce questo: quartieri di periferia, non distanti dal centro, senza identità. La Libertà dovrebbe essere il frutto della realizzazione di una identità. Ciò vale sia per il singolo che per la collettività. Come mai allora il Belgio non è riuscito a venire a capo del terrorismo? In un paese diviso in tre regioni, dove si parla la lingua olandese (fiammingo) a Nord, quella francese (vallone) a Sud ma anche il tedesco, così come nella regione centrale di Bruxelles-Capitale prevalentemente francofona: una identità belga, esiste?

Condividi