Attualità

Antigone: “Va difeso il sistema della giustizia minorile italiana. È un modello che ci invidiano anche altri paesi”

Ancora una volta si sceglie di percorrere la strada della risposta penale per rispondere a gravi fatti di cronaca. Il sistema penale sempre più diventa lo strumento per colmare i vuoti lasciati dallo Stato sul fronte culturale, educativo, sociale, lavorativo.

Un provvedimento, questo, che rischia di minare alla radice il sistema della giustizia minorile. Un sistema che ha ridotto negli anni l’utilizzo del carcere, diventato via via sempre più residuale, in nome della presa in carico dei ragazzi autori di reato, tentando di costruire con loro percorsi diversi di vita. Un approccio fondamentale quando si parla di persone nel pieno della loro crescita e sviluppo. Evitando di costruire per loro percorsi di stigmatizzazione e criminalizzazione che, difficilmente, potranno avere effetti diversi se non segnare drammaticamente il loro percorso di vita, presente e futuro.

Il sistema della giustizia minorile in Italia ha dato ampiamente prova di funzionare. Con un ricorso sempre più residuale al carcere per i minorenni, accompagnato da una costante calo della loro delittuosità. Un calo che dopo la pandemia ha avuto però una battuta d’arresto. Ma perché? Se il sistema della giustizia è sempre lo stesso, probabilmente perché sta cambiando qualcosa al di fuori di questo. E alcuni segnali ci sono.

Telefono Amico, che dal 1967 offre supporto a chi si trova in un momento di crisi, soprattutto per prevenire gesti estremi, segnala come la sua utenza sia raddoppiata negli ultimi anni, dalla pandemia ad oggi, e come sia cresciuta soprattutto per i giovani. Mentre l’Istat, con dati fermi però ancora al 2021, ci dice che la percentuale di adolescenti in cattive condizioni di salute mentale passa dal 13,8% nel 2019 al 20,9%. E dal 2021 allora ad oggi la situazione si è probabilmente ancora aggravata.

Abbassare l’età di chi entra in carcere non è la soluzione. Così come non lo è mai la reazione repressiva. Chiunque ha a che fare coi ragazzi sa che le responsabilità vanno estese agli adulti e alla società. Punire un ragazzo non è mai la risposta, specie a quell’età.

Il sistema della giustizia minorile italiana è un sistema che funziona, dove la detenzione negli istituti di pena è dal 1988 sempre più residua. Se qualche provvedimento deve essere intrapreso in tal senso, questo deva andare verso una modifica del sistema sanzionatorio prevedendo pene diversificate per i minori e non, come si discute in queste ore, abbassando l’età in cui un minore può entrare in carcere o solo con interventi delegati alla polizia. Servono educatori e non questori per occuparsi di ragazzi nei luoghi a rischio. Servono investimenti sociali e culturali nelle periferie urbane e in tutti quei luoghi dove i contesti economici e sociali sono difficili e non lasciano grande spazio a percorsi diversi da quelli che possono portare alla commissione di reati. Serve la lotta alla dispersione scolastica, che non può passare dal carcere per i genitori.

Anche se autori di reato, si parla di ragazzi in un’età cruciale del loro sviluppo, che hanno bisogno di un percorso educativo e non punitivo, che spesso arrivano da contesti sociali ed economici diffusi. Pensare al carcere come soluzione dei problemi della criminalità significa invece ancora una volta scaricare sul sistema penale la responsabilità dei vuoti che lo Stato lascia in tutti gli altri ambiti. Un problema enorme quando si parla di adulti, drammatico quando se ne discute per i minori.

Se si vuole fare un buon servizio a questi ragazzi e alla società dove questi sono cresciuti e torneranno sarebbe utile, invece, pensare ad un sistema dei reati e delle pene differente da quello in vigore per gli adulti, a maggior ragione constatando che il vigente il codice Rocco non soddisfa minimamente il principio, sancito nella Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia del 1989, del superiore interesse del minore. L’articolo 27 della Costituzione assegna alla pena una funzione rieducativa e pone limiti all’esercizio del potere di punire allo scopo di evitare trattamenti contrari al senso di umanità. Principi che, per essere adattati a ragazzi e ragazze, richiedono una diversa elencazione di reati e un ben più vario pluralismo sanzionatorio, con reati che potrebbe essere depenalizzati, trattati civilmente al di fuori del diritto penale o affidandosi alla giustizia riparativa. La punizione non è mai un deterrente. Non lo è con gli adulti, ancor meno lo è con i bambini e i ragazzi, con i quali lo sforzo da fare dovrebbe essere quello di prenderli, capirli, stargli accanto, non sbatterli in cella sperando che così imparino la lezione.

Condividi