Cultura

Disvelare i lager e narrare l’etica del cambiamento: meta dialogo con Sarita Fratini

Lavinia: «Parlare con Sarita è come passare il Rubicone: c’è un prima e c’è un dopo.

Le parole di Sarita escono come lame sottili e penetrano la carne, riattivando quel dolore che per un po’ (poco, giusto il tempo di prenderti un’aspettativa dalla Comunità) avevi silenziato … silenziato, sì perché ‘dimenticato o messo da parte’ non sarebbero termini possibili.

Mi risuonano nelle tempie le oltre 600 narrazioni biografiche dei migranti che ho incontrato e con i quali mi sono mischiata gli occhi e i pensieri. Il dolore è così intenso da portarmi via, altrove per pochi secondi e arrivare all’imperativo categorico: agire, ora, come si può, come si deve».

Roberto: «Mi tornano alla memoria le persone incontrate nei vari viaggi in Medio Oriente e in Africa, la preoccupazione dei palestinesi durante la prima guerra del Golfo, la povertà dei villaggi in Senegal. E mi viene la nostalgia dei progetti avviati in quel Paese».

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Proviamo ad andare con ordine, per favore.

Primo maggio 2020, festa dei lavoratori dell’Annus horribilis del covid 19.

Un gruppo di amici che fondano un collettivo … PrimoContatto, incontrano Sarita Fratini, scrittrice attivista (senza congiunzione) e, insieme, tessono una trama asciutta, ricorsiva e semplice su una questione che sta a cuore: i lager libici e le responsabilità italiane.

 questo il suo blog, si presenta con questa riflessione:

Effetto Hawthorne: se osservi un fenomeno, un po’ lo cambi. Se poi lo racconti, va ancora meglio. Questo blog è così: narrazione e attivismo si fondono, in una selvaggia parata”.

Le informazioni che Sarita Fratini ci fornisce cadono su di noi come una mannaia. Il percorso di migrazione che arriva in Libia dai Paesi sud sahariani è interrotto. Questa non è una buona notizia sul piano umanitario perché le ragioni che hanno spinto e che tutt’ora spingono a migrare gli abitanti di Paesi come Eritrea e Sudan (per citarne solo due tra i più massacrati da regimi dittatoriali e guerre infinite) non sono venute meno. Quello che manca adesso è qual minimo di sicurezza di arrivare sulle coste del Mediterraneo e di potersi inserire in una delle fughe organizzate dei noti trafficanti. La guerra in Libia è ripresa con inaudita violenza e questo è un’aggravante ulteriore per la sicurezza dei migranti. Questa situazione non lenisce in nessun modo le condizioni di detenzione che devono subire i profughi già presenti in Libia. Ce lo testimonia Khalil un rifugiato del Darfur in una lettera/testimonianza dai toni drammatici:

Tutti sanno che l’Unione Europea sostiene la guardia costiera libica, ma non si sa molto di che cosa stia accadendo qui, tra l’uccisione, la tortura e lo stupro di donne e bambini. E non solo questo: la tortura sulla sedia elettrica nella prigione di Tajura, la prigione in cui ho trascorso un anno e mezzo, e molte altre prigioni come la prigione di Tarik al-Sika e la prigione di Gharyan.”

Tra i tanti temi che compongono la tragedia libica alcuni dovrebbero essere presi in considerazione sia dalle autorità competenti sia dalla stampa internazionale. Né le prime né la seconda hanno fin qui operato secondo quanto suggerirebbe il buon senso e i propri doveri deontologici.

Per prima cosa si dovrebbe mettere sotto la lente di ingrandimento il comportamento delle autorità italiane e libiche nella gestione dei casi di avvistamento di imbarcazioni con profughi a bordo. Le barche che possono essere considerate valide per affrontare il mare in Libia sono finite. Questo significa che adesso i profughi partono con mezzi ancor più fatiscenti di prima. Le autorità maltesi attuano due tipi di intervento. Il primo è monitorare senza intervenire l’imbarcazione di turno aspettando che si avvicini una motovedetta libica. Il secondo è esattamente l’opposto, sono stati segnalati e documentati casi nei quali le motovedette maltesi si sono avvicinate alle imbarcazioni in difficoltà, e le hanno dotate di un nuovo motore e altro carburante affinché potessero proseguire la propria rotta verso l’Italia venendo palesemente meno al loro dovere. È bene ricordare che Malta percepisce dalla UE molti fondi per gestire la propria Sar. Identico comportamento lo abbiamo visto da parte delle autorità italiane che hanno finito spesso per “giocare come il gatto con il topo” con le imbarcazioni in avvicinamento in attesa che siamo altri a farsene carico.

Un altro argomento di grande interesse dovrebbe essere quello relativo alla gestione della missione FRONTEX. Ogni giorno dalla Sicilia decolla un aereo che ha come missione quella di individuare e segnalare alla Guardia Costiera libica eventuali imbarcazioni con profughi a bordo. Quest’ultima, con le motovedette donate dal nostro governo, intercettano le imbarcazioni e riconducono i profughi in Libia, un palese sopruso essendo i porti libici considerati dalle autorità internazionali “non sicuri”.

Di tutto questo si hanno documenti scritti e registrazioni radio e telefoniche che, e qui veniamo al terzo argomento, non vengono messe a disposizione dagli avvocati difensori dei migranti, anche in questo caso si tratta di un venir meno ad un diritto costituzionalmente riconosciuto, l’accesso agli atti giudiziari da parte dei collegi difensivi. Prendersi carico di questi drammi Non si tratta favoreggiamento di una tratta di esseri umani ma si tratta di favorire l’evacuazione da un paese in guerra di uomini, donne e bambini.

Sarita Fratini è in contatto con molte, moltissime persone, lei li chiama “amici” e questo ci risuona famigliare, ci piace a pelle. Un amico ha mandato le foto della sedia elettrica, grande attrazione della stanza delle torture del lager; si perché ogni lager ha una stanza delle torture … dove le punizioni, nella logica meschina dell’oppressore, pretendono di essere proporzionali all’offesa.

Il collettivo Josi & Loni Project si occupa di contrastare le deportazioni in Libia mediante molteplici azioni, tra le quali:

il costante racconto degli effetti di tali deportazioni, attraverso la narrazione in tempo reale dalle voci dei protagonisti (dunque senza pericolosi filtri);

la ricerca dei deportati dalle navi europee e l’aiuto nell’organizzazione di class action contro Stati e compagnie di navigazione;

il monitoraggio delle navi cargo europee nel Mediterraneo.

Quello che ci lascia la conoscenza di Sarita è un’assunzione di responsabilità, una sensazione chiarificatrice che spazza via ogni dubbio e ogni immobilismo e ci accompagna ad agire un’etica del qui e ora.

Come?

In tutti i modi pensabili.

D’altra parte, prima di noi c’è stato chi (almeno due, agli antipodi) ha affermato: Odio gli indifferenti
Lavinia Bianchi e Roberto Pergameno

 

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