Editoriale

Femminicidi, allarmismi esagerati e neo femminismo distaccato dalla politica

In questi giorni siamo inondati (giustamente) dalle notizie sul caso di Giulia Cecchettin, la ragazza uccisa dal suo fidanzato, l’ultimo fatto di sangue a carico di donne che ha già causato in questo 2023 oltre 80 vittime. I commenti su questo come su tutti gli altri casi del genere sono stati i più vari. Come al solito si alza, intorno a drammatici fatti di cronaca, anche la cortina fumogena della speculazione politica. Senza nulla togliere all’esecrazione e alle giuste considerazioni fatte da molti (non da tutti) sulla gravità di fatti come questo e sulla necessità di intraprendere azioni che possano ridurre se non eliminare gesti come quello compiuto da Filippo Turetta credo che alcune riflessioni dovrebbero andare anche oltre il fatto in se.

Innanzi tutto si dovrebbe riflettere su un dato statistico che smentisce gli allarmismi sui quali molte carriere politiche si sono costruite negli ultimi anni. Gli omicidi in Italia sono significativamente e costantemente diminuiti nel tempo passando da quasi 2000 nel 1991 ad una media di 321 negli ultimi 3 anni (fonte Ministero degli interni). In maniera specifica per quanto riguarda gli omicidi di donne commessi da familiari o ex partner siamo al 12° posto in Europa con 0,32 omicidi ogni 100 mila abitanti al pari della Spagna. Peggio di noi stanno decisamente Paesi come la Germania (0,53) e la Francia (0,43), per non parlare dell’Austria che è al primo posto di questa non invidiabile statistica con 2,14 femminicidi ogni 100 mila abitanti, i dati si riferiscono all’anno 2020 (fonte Eurostat). Si leggano questi dati al solo scopo di contrastare il clima allarmistico sulla sicurezza orchestrato ad arte da una parte dei politici italiani. Ogni omicidio è un atto che colpisce il senso di umanità dell’intera collettività.

Nel film “C’è ancora domani” Paola Cortellesi ci porta ad una realtà largamente diffusa fino agli anni 50 e 60 del ‘900, violenze e soprusi sistematici commessi dagli uomini a carico delle donne della famiglia, mogli o figlie che fossero. Da quell’epoca molto è cambiato fortunatamente anche se rimangono sacche di arretramento culturale e morale all’interno delle quali ancora persistono pratiche di questo tipo. E proprio su questi residuali comportamenti misogini è giusto agire con la massima decisione andando ad operare sulla leva dell’educazione dei giovani e sulla prevenzione attraverso un più accorto monitoraggio di tutte quelle situazioni che possono essere potenziali fattori scatenanti di azioni violente. Tra queste azioni la più citata è quella dell’educazione dei ragazzi da parte delle famiglie.

Su questa giusta richiesta (non ci possono essere azioni coercitive che impongano ai genitori di agire in tal senso) ci sarebbe da fare una riflessione sul ruolo delle donne all’interno della organizzazione patriarcale delle famiglie. Se c’è, infatti, un dato oggettivo è che nella divisione patriarcale per generi dei ruoli sia interni che esterni alla famiglia alle donne è demandata la responsabilità dell’educazione dei figli. Questa divisione di compiti (che influenza negativamente tutti gli ambiti della vita delle donne) darebbe loro, nel caso di specie, un compito essenziale quello cioè di educare i loro figli maschi al rispetto delle donne e ad assumere all’interno sia della famiglia che nella società comportamenti atti a praticare una concreta parità di genere e il superamento di quei comportamenti di sopraffazione verso le donne che spesso degenerano in atti violenti.

Credo che molto, troppo tempo sia stato perso dalle donne in questo senso. Oltre a, giustamente, chiedere agli uomini di assumersi le proprie responsabilità e operare il necessario cambiamento nei loro comportamenti, le generazioni di donne che hanno dato vita a grandi movimenti negli anni ’70 che hanno portato a conquiste importanti come il divorzio, l’aborto e la modifica da reato contro la morale a reato contro la persona nelle violenze sessuali avrebbero dovuto e potuto fare molto di più nella loro vita privata se era vero lo slogan “il privato è politico” un tempo strillato nelle piazze.

Questo ragionamento non vuole essere una chiamata di correità ma solo una riflessione su un elemento quasi mai preso in considerazione e nasce da quello che personalmente noto nel comportamento di molte mamme. In troppe donne ancora oggi si vedono attuare comportamenti differenziati nell’educazione dei figli tra maschi femmine. Ho innumerevoli esempi di trattamenti diversi nei figli in base al genere che ripropongono lo schema classico della famiglia patriarcale. Su questo versante non solo non si sta progredendo ma si sta forse addirittura sperimentando una battuta di arresto. Le donne questa responsabilità non possono non sentirsela anche sulle loro spalle. Oltre a chiedere agli uomini di assumersi le proprie responsabilità dovrebbero fare una profonda riflessione sugli ultimi decenni per capire come mai l’onda femminista non è riuscita ad agire il cambiamento che si era proposto. Forse è stato sbagliato giocare la partita tutta sul piano della lotta di genere che rischia di diventare corporativa, forse sarebbe stato più opportuno agire su un piano più organicamente politico o forse siamo troppo ottimisti e non ci rendiamo conto che questi cambiamenti hanno bisogno ti molto tempo per produrre frutti significativi.

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