Un’ondata di violenze e vendette settarie sta investendo la costa siriana, con massacri che hanno causato la morte di almeno 340 persone appartenenti alla minoranza alawita nelle ex roccaforti del deposto presidente Bashar al Assad. L’Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr), attraverso il suo direttore Rami Abdel Rahmane, ha definito la situazione una “catastrofe umanitaria”, denunciando esecuzioni sommarie, deportazioni forzate e saccheggi sistematici nelle province di Latakia, Tartous, Jableh e Baniyas. Secondo il Sohr, il numero delle vittime potrebbe aumentare ulteriormente a causa di nuove operazioni in corso nei villaggi circostanti. “Dopo la caduta del regime di Assad, è inaccettabile assistere a violenze su base settaria. Lo Stato deve garantire la sicurezza di tutti i cittadini e disarmare i gruppi armati”, ha dichiarato Abdel Rahmane.
Fonti diplomatiche riferiscono ad Agenzia Nova che l’ambasciata d’Italia a Damasco sta monitorando da vicino la situazione di un piccolo gruppo di cittadini italo-siriani e di due religiosi presenti nelle aree costiere della Siria, colpite dagli scontri tra le forze governative e i lealisti dell’ex regime di Bashar al Assad. Al momento, non sono state segnalate difficoltà dirette per i connazionali coinvolti. La regione costiera di Latakia ospita la minoranza alawita, la stessa confessione di Al Assad. Gli alawiti sono una setta minoritaria dell’Islam sciita, originaria della Siria, che considera Ali, il genero del profeta Maometto, una figura centrale e quasi divina. La loro dottrina è caratterizzata da un sincretismo che integra elementi mistici, influenze cristiane e pre-islamiche, distinguendoli dagli altri gruppi musulmani.
L’escalation è cominciata dopo che il 4 marzo il Dipartimento di sicurezza interna della Siria ha lanciato una campagna di controlli su larga scala in diversi quartieri di Latakia, il porto più importante del Paese, per arrestare elementi fedeli al regime accusati di aver ucciso due membri del ministero della Difesa in un’imboscata armata. Negli ultimi due mesi, gruppi dell’ex regime hanno condotto quattro operazioni nel nord-ovest del Paese, che hanno causato la morte e il ferimento di alcuni membri del Dipartimento delle operazioni militari.
Parallelamente alle violenze contro gli alawiti, le forze governative siriane hanno completato la presa di Al Qardaha, città natale della famiglia Assad. L’operazione è stata portata a termine dopo 24 ore di scontri tra le forze del ministero della Difesa e gruppi armati ancora fedeli all’ex presidente. Secondo fonti locali, gli scontri sono stati particolarmente violenti, con l’impiego di artiglieria pesante, carri armati e mitragliatrici pesanti. Le forze governative hanno anche ripreso il pieno controllo della città di Baniyas, costringendo le ultime unità lealiste alla ritirata. Rastrellamenti e operazioni di bonifica sono ancora in corso nei dintorni della città. Le autorità hanno dichiarato che le città di Latakia, Tartous e Jableh sono ormai sotto pieno controllo statale.
Diverse immagini e video diffusi sui social media mostrano esecuzioni sommarie di uomini disarmati, alcuni vestiti con abiti civili, mentre altri vengono trascinati via con la forza. Alcune riprese sembrano indicare vendette brutali contro gli ex sostenitori di Assad. Tra i cadaveri riversi a terra nei video pubblicati su Telegram appaiono anche donne e bambini. Fonti dell’Osservatorio siriano hanno confermato che molte delle uccisioni sono avvenute in strada, davanti agli occhi di civili. “Questa non è giustizia, è una rappresaglia di massa. Lo Stato deve intervenire per fermare queste atrocità”, ha detto un attivista locale, chiedendo l’anonimato per timore di ritorsioni.
Il ministero della Difesa siriano ha annunciato la chiusura di tutte le strade che conducono alle province costiere, ufficialmente per impedire ulteriori scontri e ristabilire la sicurezza. La decisione arriva dopo l’imposizione di un coprifuoco nelle aree colpite dalle violenze, dove i combattimenti tra le forze di sicurezza e i lealisti di Assad si sono intensificati nelle ultime 72 ore. Le autorità siriane hanno arrestato alcuni lealisti del vecchio regime, tra cui l’alto ufficiale militare Ibrahim Houayja, accusato dell’assassinio di diversi oppositori di Bashar al Assad, nonché del leader druso libanese e fondatore del Partito socialista progressista (Psp), Kamal Joumblatt, avvenuto il 16 marzo 1977. Una fonte di sicurezza ha riferito all’agenzia di stampa “Sana” che i gruppi armati con cui si sono scontrate le forze governative erano affiliati a Suheil al Hassan, accusato di crimini di guerra e massacri contro la popolazione siriana durante la guerra civile cominciata a seguito delle proteste del 2011. Hassan comandava una divisione di forze speciali d’élite, addestrata ed equipaggiata dalla Russia, nota con in nome di Tiger Forces.
Il presidente ad interim Ahmed al Sharaa ha esortato le ultime sacche di resistenza pro-Assad “a deporre le armi prima che sia troppo tardi”, dichiarando che la stabilità del Paese non può essere minata da gruppi armati fuori dal controllo statale. Nel suo discorso alla nazione, pronunciato ieri sera, Al Sharaa ha ribadito che le operazioni militari proseguiranno fino alla completa eliminazione delle forze lealiste. Per contrastare le preoccupazioni internazionali legate ai massacri, il governo siriano ha istituito una commissione d’inchiesta per monitorare possibili violazioni delle forze di sicurezza e deferire i responsabili alla giustizia militare.
Intanto, sul versante internazionale, l’Iran ha espresso “grande preoccupazione” per gli sviluppi in Siria. Il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran ha affermato che l’Iran sta monitorando da vicino gli eventi sulla costa siriana e ha sottolineato il rischio che le violenze degenerino ulteriormente. L’Iran è stato per anni uno dei principali alleati di Assad, fornendo sostegno militare ed economico al suo regime. Tuttavia, dopo la caduta dell’ex presidente, la Repubblica islamica ha assunto un atteggiamento più cauto, limitandosi a dichiarazioni di condanna delle violenze senza un coinvolgimento diretto. Da parte sua, secondo “Sabareen news”, l’Iraq ha intensificato il livello di sicurezza alla frontiera con la Siria. Anche l’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Geir Pedersen, si è detto “profondamente preoccupato” per quanto sta accadendo e ha invitato tutte le parti ad “astenersi da azioni che potrebbero ulteriormente infiammare le tensioni, intensificare il conflitto, esacerbare la sofferenza delle comunità colpite e mettere a repentaglio una transizione politica e credibile”.
L’Arabia Saudita ha, al contrario, condannato gli attacchi contro le forze di sicurezza siriane da parte dei gruppi armati affiliati all’ex regime degli Assad, schierandosi al fianco di Al Sharaa. “Il Regno esprime il suo sostegno al governo siriano nei suoi sforzi per mantenere la sicurezza e la stabilità e preservare la pace civile”, si legge in una nota stampa del ministero degli Esteri di Riad. Dopo l’arrivo al potere Al Sharaa, ex capo del gruppo islamista Hayat Tahrir al Sham (Hts) e noto con il nome di battaglia Abu Muhammad al Jolani, Riad sta cercando di colmare il ruolo svolto da Teheran durante il regime dell’ex presidente Bashar al Assad. Riad è stata anche la prima destinazione delle visite all’estero di Al Sharaa lo scorso febbraio. Anche la Turchia, in passato nemica di Assad e “sponsor” di alcune milizie ribelli ora giunte al potere a Damasco, ha condannato gli scontri e ha affermato che rischiano di compromettere gli sforzi per raggiungere non solo l’unità del Paese, ma anche la pace nella regione. “Siamo contrari a qualsiasi azione che prenda di mira il diritto dei siriani a vivere in pace e prosperità. La Turchia rimane salda nel suo sostegno al popolo e al governo della Siria”, ha affermato Oncu Keceli, il portavoce del ministero degli Esteri turco.
Molto dura, invece, è la reazione del governo di Israele, che ha allargato la zona cuscinetto nelle Alture del Golan occupate dal 1967 e nei giorni scorsi ha già detto di essere pronto a un intervento armato nel sud, ufficialmente “a protezione” dei drusi. “Al Jolani ha tolto la maschera e ha mostrato il suo vero volto: un terrorista jihadista della scuola di al Qaeda, responsabile di atti orribili contro i civili”, ha dichiarato ieri il ministro della Difesa, Israel Katz, il quale ha aggiunto che Tel Aviv “si difenderà da qualsiasi minaccia arrivi dalla Siria”. La Lega Araba ha a sua volta espresso profonda preoccupazione per l’escalation della violenza nella regione costiera della Siria, condannando gli attacchi alle forze di sicurezza governative e le uccisioni indiscriminate. In un comunicato ufficiale riportato da Sky News Arabia, l’organizzazione panaraba ha sottolineato il rischio che la crisi in corso possa compromettere ulteriormente la stabilità del Paese. Secondo la Lega Araba, qualsiasi interferenza esterna volta a infiammare il conflitto interno e minacciare la pace civile deve essere fermamente respinta. L’organizzazione ha ribadito il proprio sostegno all’unità e alla sovranità della Siria, invitando tutte le parti coinvolte a evitare azioni che possano aggravare la situazione già precaria.
Intanto peggiora la situazione anche nel sud, “nella città di Suwaida, a Jaramana, periferia di Damasco, zone a maggioranza drusa e nelle città costiere a maggioranza alawita, in particolare a Jable”, come riferisce padre Bahjat Elia Karakach, frate della Custodia di Terra Santa e parroco latino di Aleppo, in una nota pervenuta al Servizio informazione religiosa (Sir). La Siria, dunque, sembra ripiombare nel caos con l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Geir Pedersen, che ha dichiarato di essere “profondamente allarmato” per gli scontri in atto nelle zone costiere del Paese e per le notizie “molto inquietanti di vittime civili”.
L’intensificarsi della violenza ha intanto portato migliaia di siriani a fuggire verso il Libano. Secondo il deputato libanese Saji Atiyah, nelle ultime ore si è registrato un afflusso senza precedenti di rifugiati, molti dei quali alawiti in fuga dai massacri nelle province costiere. La provincia settentrionale di Akkar è stata la principale destinazione per i profughi siriani, che hanno attraversato il confine a piedi. Atiyah ha avvertito che il Libano potrebbe presto trovarsi in una situazione ingestibile, con una popolazione di rifugiati che potrebbe superare i tre milioni, aggravando la già precaria situazione economica del Paese.