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Gaza, continua la mattanza di giornalisti. Onu: “Oggi è la giornata Mondiale di solidarietà con i popolo palestinese”

Non si contano più  i giornalisti morti durante questi cinquanta giorni di guerra disumana intrapresa dalle forze di occupazione contro i palestinesi. I media locali lamentano la perdita di cento giornalisti e operatori televisivi. Due inviati ancora scomparsi mentre 28 reporter sono finiti sicuramente  nelle carceri israeliane. I giornalisti uccisi durante questi cinquanta giorni in percentuale superano del 120 per cento il totale di quanti sono stati ammazzati in 23 anni, tre volte il numero di cronisti uccisi in tutte le parti del mondo dall’inizio di quest’anno.

Lo spazio di fronte all’entrata dell’ospedale Al-Shifa a Gaza City è stato trasformato in una fossa comune, in cui sono stati sepolti i cadaveri non identificati. La struttura ospedaliera è la più grande di Gaza, ha subito diversi bombardamenti ed era stata occupata dagli israeliani fino alla scattare della tregua.

Tombe proprio di fronte a un ospedale ancora funzionante, nonostante le difficoltà per la mancanza di carburante e medicinali. Un rischio sanitario che si aggiunge ai molti altri che mettono in pericolo Gaza, “ad alto rischio di malattie infettive”, secondo quanto detto dall’Organizzazione mondiale della sanità.

“Il forte sovraffollamento e l’interruzione dei sistemi sanitari, idrici e igienico-sanitari stanno aggravando la situazione – ha sottolineato l’Oms – la carenza di cibo sta indebolendo le persone che hanno maggiori probabilità di ammalarsi”.

In mezzo a questo inferno c’è lui, il premier israeliano con i suoi problemi. Benjamin Netanyahu sta combattendo due battaglie: una contro la sua creatura Hamas a Gaza e l’altra per la sua sopravvivenza politica. Dopo il massiccio attacco dei terroristi in Israele del 7 ottobre, costato 1.200 vite di cui gli viene imputata la responsabilità – da lui mai assunta, al contrario dei vertici militari e dell’intelligence – il leader del Likud deve non solo assicurare una qualche forma di vittoria al Paese ma anche riuscire a rimanere in sella.

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