Secondo il Ministero della Salute, nelle ultime 24 ore gli attacchi israeliani hanno ucciso almeno 55 palestinesi e ne hanno feriti altri 329 in varie parti della Striscia di Gaza.
Sono stati segnalati bombardamenti mortali da parte di Israele nel campo profughi di Jabalia, nella città di Gaza, a Khan Younis e nel campo profughi di Nuseirat.
Migliaia di persone, tra cui sei membri dello staff di Medici Senza Frontiere (MSF), rimangono intrappolate nel campo di Jabalia dopo che il 7 ottobre le forze israeliane hanno emesso ordini di evacuazione di massa, costringendo migliaia di persone a fuggire dal nord di Gaza. Chi fugge rischia la vita tra incessanti bombardamenti e attacchi aerei.
Kholoud, assistente al coordinamento di MSF, è riuscita a fuggire dal campo profughi di Jabalia e a rifugiarsi a Gaza City dove vive in condizioni difficili e tra incessanti bombardamenti.
Qui di seguito la testimonianza completa di Kholoud, assistente al coordinamento di MSF
“Questa volta non c’è via d’uscita. Chi è partito il primo giorno è riuscito a fuggire, ma per chi non ce l’ha fatta è troppo tardi. Il 6 ottobre abbiamo ricevuto dei volantini che ordinavano a tutti di evacuare verso sud. Tutti erano sotto shock. Abbiamo passato l’intera giornata a cercare un un’auto o un mezzo per evacuare, ma non c’erano veicoli disponibili e i trasporti sono estremamente costosi.
Era quasi il tramonto, mentre eravamo in macchina c’era un drone che ha aperto il fuoco su di noi, l’autista era terrorizzato e continuava a chiedere: “Cosa devo fare?”. Ho pensato davvero che fossero gli ultimi momenti della mai vita. Ho visto la morte davanti ai miei occhi. Dalla sera alla mattina, carri armati e aerei hanno circondato completamente il campo di Jabalia.
Mio padre ha provato ad uscire dal campo e si è trovato un carro armato proprio di fronte a lui. Ha preso mio fratello e sua moglie, sono corsi in strada, si sono nascosti e sono dovuti tornare al campo. Io sono riuscita a uscire [da Jabalia a Gaza City], ma sentivamo continuamente il rumore delle granate.
Qui a Gaza City sono uscita per comprare del pane, c’è un panificio che ancora funziona ma c’è tantissima gente in fila. Le persone mettono i materassi per strada e dormono all’aperto. Non ci sono tende. La gente dorme in edifici parzialmente crollati, per lo più al piano terra. Sono stata evacuata a Gaza City, ma il primo giorno non c’era cibo. Il panificio aveva finito il pane. Ho detto ai bambini: “State tranquilli, ora dormite”. E quella notte sono andati a dormire affamati. Il giorno dopo siamo riusciti a trovare il pane. L’unico cibo che abbiamo ora sono lenticchie, fagioli e hummus in scatola.
Questa volta le cose sono davvero diverse. Prima, quando arrivavano gli ordini di evacuazione, c’erano più punti per uscire da Jabalia e le persone potevano scappare. Questa volta, nel momento in cui hanno emesso l’ordine di evacuazione, l’intero campo era già stato assediato. L’hanno circondato ancora prima di dare l’ordine. Le persone non potevano evacuare”.
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