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Il “diritto all’autodifesa necessaria” fa salire a 22.600 i palestinesi uccisi negli attacchi israeliani sulla Striscia di Gaza dal 7 ottobre

Speciale selfie a Gaza. E nessuno pare indignarsi più di tanto, né Meloni né Borrell.  Ma non sorprende considerando che, secondo le nuove norme europee, si tratta solo di “diritto all’autodifesa necessaria”.

Un “diritto all’autodifesa necessaria” che fa salire a 22.600 i palestinesi uccisi negli attacchi israeliani sulla Striscia di Gaza dal 7 ottobre. È quanto afferma il ministero della Sanità palestinese, gestito da Hamas. I feriti sono 57.910, la maggior parte dei quali sono donne e bambini. Circa 7.000 sono i dispersi, presumibilmente morti che si trovano ancora sotto le macerie degli edifici colpiti. Nel comunicato, il ministero afferma di aver registrato 162 morti nelle ultime 24 ore.

All’indomani della presentazione da parte del ministro della difesa Yoav Gallant di un piano relativo alla futura gestione della striscia di Gaza (con un intervento combinato di Israele, Egitto, una ‘task-force’ multinazionale e amministratori locali palestinesi) il ministro per la tradizione Amichai Eliahu (del partito ‘Potere ebraico’) ha illustrato una visione totalmente diversa che include invece un ”lncoraggiamento” ai palestinesi affinché abbandonino la Striscia.

”La questione e’ semplice – ha detto alla radio 103Fm.

– Dobbiamo trovare i loro punti deboli.

Sappiamo che la morte non li spezza, loro non apprezzano la vita. Quello che davvero fa loro male è il territorio, la terra, la distruzione della casa, una partenza volontaria. Dobbiamo spezzare il loro sogno nazionale. Ci avete massacrato? Allora non potete restare qua.

Questo e’ il punto centrale: dobbiamo incoraggiarli a lasciare questo posto”. Su X il ministro ha poi proposto le immagini di ”una colonna di 15 mila emigranti, di 24 Paesi, partita dal Messico verso il confine con gli Usa”. ”Ogni governo che si arrenda ad una visione progressista – ha aggiunto – va contro il proprio interesse esistenziale e genera un disastro per il suo popolo”.

Quattordici persone, per la maggior parte bambini sotto i 10 anni, sarebbero state uccise ieri mattina durante gli attacchi aerei israeliani vicino ad Al-Mawasi, un’area indicata come “zona umanitaria” dalle autorità israeliane, in cui è stato ordinato ai civili di rifugiarsi per la loro sicurezza. Ad affermarlo è Save the Children. 
Secondo l’organizzazione, dal 7 ottobre le forze israeliane hanno emesso diversi “ordini di evacuazione”, indirizzando i civili principalmente verso tre aree del sud: Khan Younis, Rafah e Al-Mawasi. Tutte e tre le aree sono state successivamente colpite da attacchi aerei israeliani nei quali i civili, compresi i bambini, sono stati uccisi e feriti.

“Non lo sottolineerò mai abbastanza: non c’è nessun luogo sicuro a Gaza. Ma secondo il diritto internazionale umanitario, dovrebbe esserci. I campi di sfollati, i rifugi, le scuole, gli ospedali, le case e le cosiddette “zone sicure” non dovrebbero essere terreno di scontri. Eppure, Gaza è stata devastata. Questi ordini di trasferimento non offrono una reale sicurezza. Se le persone restano, vengono uccise. Se si muovono, vengono uccise. La popolazione si trova a dover ‘scegliere’ tra una condanna a morte o un’altra – ha spiegato Jason Lee, direttore per i territori palestinesi occupati di Save the Children -. I leader mondiali devono garantire ora un cessate il fuoco definitivo. Ogni ora che passa senza una tregua, sempre più bambini pagheranno il prezzo del fallimento della politica con la loro vita e il loro futuro. Fino a quando non ci sarà un cessate il fuoco, non ci sarà nessun luogo sicuro a Gaza”.

Save the Children fornisce servizi essenziali e sostegno ai bambini palestinesi dal 1953. Lo staff di Save the Children nei territori palestinesi occupati lavora 24 ore su 24, preparando beni salvavita per la distribuzione alle persone più vulnerabili e cercando modi per portare assistenza a Gaza.

Il segretario generale di HezbollahSayyed Hassan Nasrallah, ha affermato ieri nel suo discorso durante la celebrazione del quarto anniversario del martirio di Hajj Qassem Soleimani e Abu Mahdi Al-Muhandis nel complesso Sayyid al-Shuhada, nel sobborgo meridionale di Beirut, che ciò che ha impedito finora a Israele di fare guerra al Libano, è che il Libano ha Resistenza, Forza e uomini per Dio.

“Se Israele pensa di sferrare un’aggressione contro Libano, se ne pentirà, e la nostra lotta sarà senza limiti e senza regole”, ha aggiunto Nasrallah.

Nasrallah ha sottolineato che il crimine avvenuto martedì nel sobborgo meridionale di Beirut è grave e non può essere tollerato. Ha aggiunto che questo crimine non rimarrà senza risposta e punizione, e tra noi e il nemico c’è il campo di battaglia, i giorni e le notti.

Il santone di Hezbollah ha confermato infine che la battaglia Al-Aqsa Storm ha ribaltato la teoria della deterrenza e della superiorità dell’intelligence israeliana e ha rilanciato la causa palestinese.

Con una presenza massiccia di sostenitori e lo slogan: “Sulla strada per Gerusalemme…”, Hezbollah ha commemorato quindi il quarto anniversario del martirio dei due grandi comandanti, Hajj Qasem Soleimani e Hajj Abu Mahdi Al-Muhandis e i loro compagni. Incoraggiante, non c’è che dire.

L’unica buona notizia arriva da Medici Senza Frontiere (Msf) che fa sapere di aver aperto nel sud di Gaza, a dicembre, una clinica all’interno dell’Indonesian Hospital a Rafah, dove fornisce cure post-operatorie alle persone sfollate da tutte le parti della Striscia in modo da liberare posti letto nei pronto soccorso di altri ospedali.

“Nel sud di Gaza, a Rafah, siamo stati messi in un angolo, con sempre meno opzioni per fornire l’assistenza sanitaria di cui le persone hanno disperatamente bisogno”, afferma Jacob Burns, coordinatore del progetto Msf a Gaza.
Shorouk Al-Rantisi, una paziente del reparto di fisioterapia dell’ospedale, è dovuta fuggire più volte dall’inizio della guerra. “Ho passato un’ora intera sotto le macerie. Gridavo, ma nessuno mi sentiva. Alla fine, qualcuno ha sentito la mia flebile voce, ero sotto diversi oggetti metallici che mi hanno rotto una gamba”, racconta Shorouk, rimasta intrappolata sotto le macerie in seguito a un attacco nel campo profughi di Jabalia, nel nord di Gaza, dove aveva cercato rifugio con la sua famiglia.

Msf continua riportando che, dopo essere stata curata in un ospedale nel nord di Gaza, Shorouk è dovuta fuggire di nuovo mentre era in fase di recupero. E’ stata evacuata nell’Area di Mezzo e poi di nuovo a Rafah, dove ha cercato riparo con il marito e i tre figli in un rifugio. “Ogni giorno ero in un posto diverso, ero diventata una persona senza fissa dimora”. Il viaggio di Shorouk, conclude Msf, “riflette quello di molti gazawi e rappresenta le difficoltà di accesso all’assistenza sanitaria in questa guerra, dimostrando ancora una volta che a Gaza nessun luogo è sicuro”.

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