Il leader del braccio politico del Movimento di resistenza islamica (Hamas), Ismail Haniye, ha assicurato che l’accordo di tregua con Israele “è vicino”, un accordo che contemplerebbe la liberazione di decine di persone rapite durante gli attacchi compiuti sul il 7 ottobre contro Israele da parte del gruppo islamista palestinese. I dettagli saranno annunciati “nelle prossime ore” dal Qatar, ha aggiunto un’altra fonte di Hamas.
Dopo settimane di incertezza sembra che si è arrivati dunque a un punto di svolta. Una prima avvisaglia era arrivata proprio ieri sera, quando il premier israeliano Benjamin Netanyahu si è incontrato per la prima volta dopo settimane con un folto gruppo di parenti degli ostaggi: “Ho la responsabilità di garantire la loro liberazione”, ha detto il premier.
I dettagli dell’ipotesi di accordo
“Il movimento ha consegnato la sua risposta ai fratelli e ai mediatori del Qatar, e siamo vicini a raggiungere un accordo di tregua”, ha fatto dunque sapere all’alba Haniyeh, che da anni è in esilio in Qatar. Fonti vicine al negoziato hanno spiegato che l’accordo prevede una tregua di cinque giorni, che comporterebbe un cessate il fuoco sul terreno e limiti alle operazioni aeree israeliane nel sud di Gaza.
In cambio, saranno rilasciati tra i 50 e i 100 ostaggi detenuti da Hamas e dalla Jihad islamica, un altro dei gruppi armati palestinesi: saranno liberati civili israeliani e ostaggi di altre nazionalità, ma non personale militare. L’accordo porterebbe anche al rilascio di circa 300 palestinesi dalle carceri israeliane (nessuno con legami con Hamas), tra cui donne e bambini.
Anche Hamas ha dato la sua versione: cessate il fuoco di cinque giorni e “il rilascio di cinquanta rapiti e cittadini stranieri che non sono soldati, in cambio del rilascio da parte delle autorita’ di occupazione di 300 prigionieri, donne e bambini”. Hamas ha confermato che il cessate il fuoco includerà “una completa interruzione dei voli israeliani su Gaza, tranne che nelle aree settentrionali dove Israele interrompera’ i voli solo per sei ore al giorno”.
Secondo Hamas, in tutte le aree della Striscia entreranno 300 camion carichi di cibo, aiuti medici e carburante”; e i rapiti israeliani saranno rilasciati in più fasi, dieci al giorno.
In attesa dell’annuncio di tregua, Israele va avanti nella sua offensiva ed espande la sua attività nel Nord dell’enclave palestinese: nelle ultime 14 ore, ha fatto sapere un portavoce, i caccia hanno colpito 250 obiettivi; e le truppe di terra hanno continuato i rastrellamenti trovando nelle case di Gaza “depositi di armi e persino un razzo anticarro sotto la culla di un bambino”.
Completata anche l’accerchiamento di Jabalia. E in una di queste operazioni, fanno sapere i media palestinesi, nel campo profughi di Nuseirat sono morte 17 civili, tra i quali donne e bambini.
Oms: “Evacuiamo tre ospedali”
L’Organizzazione mondiale della Sanità sta lavorando per evacuare tre ospedali nella striscia di Gaza. Lo riferisce il rappresentante dell’Oms, Richard Peeperkorn, ai microfoni di Nbc News spiegando di “non essere qui per evacuare pazienti o personale ospedaliero ma per rafforzare e costruire gli ospedali“.
Tuttavia, “su richiesta di medici e pazienti spaventati e disperati, stiamo facilitando l’evacuazione di almeno tre ospedali in difficolta’ nel Nord di Gaza (Al-Shifa, Al-Alhi e l’Ospedale indonesiano) e l’intera operazione potrebbe durare settimane”, aggiunge Peeperkorn.
L’evacuazione di Al-Shifa è iniziata nel fine settimana, con il trasferimento di 33 bambini nati prematuri. L’Oms sta lavorando con la Mezzaluna Rossa Palestinese e altre organizzazioni per evacuare i restanti 250 pazienti e 25 membri del personale.
Continuano gli scontri
Pesanti combattimenti sono scoppiati nella notte intorno all’ospedale indonesiano a Nord di Gaza. Le notizie degli scontri arrivano dopo settimane di attenzione verso la principale struttura ospedaliera di Gaza, quella di Al-Shifa, dove centinaia di pazienti e membri del personale rimangono intrappolati. Più di 30 bambini sono stati evacuati ieri da Al-Shifa e adesso si trovano in ospedali egiziani per essere curati.