Ambiente

In Italia si scava secondo un Regio Decreto del 1927

Oltre 120 milioni di metri cubi di inerti estratti ogni anno dalle quasi 5.600 cave attive nel Paese e una pesante eredità di più 16 mila cave dismesse. Sono alcuni dei dati del “Rapporto Cave 2014” di Legambiente dai quali emerge con forza la necessità di favorire con nuove norme e attraverso la leva economica il recupero di inerti e aggregati provenienti da edilizia e altri processi produttivi, rispetto alla continua estrazione di materiali. Non solo perché il nostro territorio è una risorsa non rinnovabile che va tutelata, ma anche per promuovere l’innovazione e la qualità in un settore importante come quello edilizio, che scommette sempre di più sul recupero e sulla riqualificazione urbana, che rappresenta una parte importante della nostra green economy e crea occupazione. Per questo è necessario modernizzare le vecchie e inadeguate regole che governano il settore, che si basano tuttora su un Regio Decreto del 1927, riequilibrare l’enorme gap che c’è tra i ricavi dell’attività estrattiva e i canoni di concessione pagati sul prelievo e la vendita di materie prime di cava e introdurre nei capitolati di appalto una percentuale di aggregati riciclati, così da colmare il ritardo accumulato e da avvicinarci agli obiettivi di recupero fissati dall’Europa: il 70% al 2020. Alcune delle misure utili allo scopo potrebbero entrare nel Collegato Ambientale attualmente in discussione alla Camera.

Ermete Realacci. Foto: Paolo Cipriani

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