Agricoltura

In Sardegna si testano colture per progetti di agroenergia in Africa

A settembre, ha il colore bruno del ricino pronto a essere raccolto il laboratorio open air dove in Sardegna Agri-Energy srl, la joint venture fra Eni e Bonifiche Ferraresi, testa dall’anno scorso le migliori coltivazioni destinate allo sviluppo efficiente e sostenibile di biocarburanti. In una quindicina di ettari a Marrubiu, nell’Oristanese, in terreni considerati marginali si sperimentano colture – come ricino, cartamo, camelina sativa, brassica – resistenti alla siccità e non adatte al consumo umano. Se ne valuta la replicabilità in Africa, a cominciare da Kenya e Congo, dove Eni ha avviato progetti con gli agricoltori locali per recuperare terre degradate e garantire alle comunità locali l’accesso al mercato, senza che le colture destinate alla bioraffinazione competano con quelle alimentari.

Sono una trentina le varietà di 12 specie di piante oleaginose allo studio in Sardegna, in 29 appezzamenti: ognuno è a sua volta suddiviso in sezioni di 1.800 metri quadri, una delle quali è più irrigata dell’altra. In un ettaro, per esempio, sono state piantate circa 40 mila piantine di ricino. L’obiettivo è valutare la resa di ciascuna coltivazione, a seconda della quantità d’acqua che riceve.

In un’estate siccitosa come quella vissuta nel 2022 dalla Sardegna, non c’è da fare affidamento sulle precipitazioni, tanto meno in un settembre afoso almeno quanto luglio. Eppure su quei campi percorsi da macchinari ad alta efficienza per la raccolta dei semi, e che poi restituiscono al terreno ciò che della pianta non potrà essere utilizzato, da un cielo lattiginoso che copre un sole ancora cocente e gronda umidità scendono poche gocce destinate ad asciugarsi subito sugli abiti.

La tenuta nell’ex acquitrino

È pioggia, inattesa e stentata, che non altererà certo il risultato dei test con cui Agri-Energy punta a costruire un modello da esportare. Ci crede l’amministratore delegato Luigi Scordamaglia: “La Sardegna è un vero e proprio laboratorio a cielo aperto”, dichiara, in occasione dell’Open Lab-Sardinia, un confronto fra i partner del progetto Bike, acronimo inglese per Biofuels Production at low -Iluc Risk for European sustainable bioeconomy).

Il workshop di agronomi, ingegneri, certificatori e tecnici della decarbonizzazione, italiani e stranieri, (età media 35 anni, lingua comune l’inglese), si tiene nel Centro Tre Sassu di Marrubiu (Oristano), con una visita guidata nei campi della sperimentazione e nella tenuta di circa 1.200 ettari un tempo della Società bonifiche sarda, incaricata nel secolo scorso di bonificare terreni acquitrinosi altrimenti inutilizzabili.

La Sbs, a lungo in liquidazione, è stata venduta ai primi del 2017 dalla Regione Sardegna a Bonifiche Ferraresi, primo gruppo agricolo d’Italia per superficie coltivata: 9 mila ettari fra Emilia Romagna, Toscana e Sardegna, oltre a due stalle, una d’ingresso nel Nord Italia con 4.500 capi bovini, l’altra di sosta, con 1.200 animali nella tenuta di Marrubiu.

 “Con Eni stiamo portando avanti test e sperimentazioni su particolari sementi, coltivando 30 varietà diverse di specie oleaginose”, spiega Scordamaglia. “Si mettono in pratica le tecnologie più all’avanguardia con metodi di agricoltura di precisione. Si studia come rendere la produzione più sostenibile, con metodi di agricoltura conservativa e a basso impatto carbonico, si adottano soluzioni innovative per migliorare le rese o ancora si cerca di capire quali piante siano più resistenti a contesti di siccità. Questo è solo il primo di una serie di eventi ed incontri che grazie alla joint venture renderanno la Sardegna protagonista di un nuovo modello produttivo ed energetico innovativo, efficiente e sostenibile”.

Ci crede, e non solo per il ruolo di responsabilità che riveste, Federico Grati, responsabile per Eni dei progetti per l’agroenergia (‘Seeds for Energy’, semi per l’energia è il leit motiv) e a capo di un team di giovani talenti, superspecializzati ed entusiasti, che lavorano fra Milano, il Kenya e il Congo, e con prospettive di esperienze in altri Paesi. Molti si sono incontrati per la prima volta di persona, tra loro e con altri partner del progetto Bike (di cui il laboratorio sardo è uno dei ‘case study’), proprio nei campi di Marrubiu e davanti a un bicchiere di vermentino, con gli occhi che sprizzavano gioia, dopo aver trascorso mesi a parlarsi solo in videoconferenza, complici le distanze, ma soprattutto le restrizioni imposte dal Covid.

L’obiettivo finale in cui Eni e Grati li hanno coinvolti è ambizioso: raggiungere la completa neutralità carbonica (zero emissioni nette di CO2) entro il 2050, anche attraverso una filiera sostenibile per la produzione di biocarburanti, a partire da colture selezionate su terreni altrimenti improduttivi e affidate al lavoro degli agricoltori locali, senza danneggiare i suoli e, anzi, creando lavoro e reddito per le comunità del posto.

I criteri di sostenibilità di riferimento sono quelli definiti nella direttiva europea sulle energie rinnovabili, in particolare la REDII (Recast Renewable Energy Directive): i biocarburanti, centrali nella strategia Eni per la decarbonizzazione e la sostituzione dei combustibili fossili per la mobilità sulle strade e aerea, dovranno essere prodotti in modo da ridurre il rischio di cambiamento diretto e indiretto della destinazione d’uso dei suoli (Low Iluc-Indirect land use change) e le emissioni.

Sarà la Fao, l’organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura, a valutare l’impatto dei progetti dei biocarburanti, quindi la loro sostenibilità, progetti, peraltro, sottoposti alla certificazione europea Iscc (International Sustainability & Carbon Certification).

L’esperienza in Africa

“In Kenya abbiamo testato e sviluppato un modello che sta funzionando molto bene, basato sull’agricoltura familiare“, spiega Grati all’AGI, mentre le scarpe affondano fra le zolle ammorbidite dal recente passaggio dei mezzi agricoli. “I piccoli agricoltori coltivano piccoli appezzamenti di ricino e poi portano i semi a una cooperativa che poi li vende a noi. È un progetto a forte spinta sociale, molto capillarizzato sul territorio. In Congo, dove pure siamo presenti, non ci sono, invece, grandi comunità di agricoltori ma terreni degradati e abbandonati: là c’è l’opportunità di sviluppare i progetti dei ‘grandi farmer’, su superfici più ampie, in cui è necessario meccanizzare la raccolta”.

Nei 15 ettari di Bonifiche Ferraresi in Sardegna, con temperature che fra maggio e settembre raggiungono i 38 gradi centigradi, il primo ciclo colturale è durato ci
“Lavoriamo con colture che hanno tempi di crescita molto rapidi, anche per consentire la rotazione con altre”, spiega Grati. “L’obiettivo è identificare le sementi più promettenti per i nostri progetti in Africa. Abbiamo selezionato piante molto resistenti all’aridità e scoperto che le rese agronomiche sono interessanti, come nel caso del cartamo”.

Quanto alla brassica, per esempio, come spiega Fausto Ferruzzi di Agri-Energy mentre indica i campi percorsi dalle macchine agricole in azione per la raccolta, la resa è sorprendentemente circa la stessa a prescindere dalla quantita’ d’acqua ricevuta.

“Da alcune delle piante che stiamo sperimentando è anche possibile ricavare dei mangimi“, sottolinea Grati. “E questo offre anche l’opportunità non solo di rigenerare terreni degradati ma anche di produrre cibo per gli animali”.

“Bonifiche Ferraresi ci porta innovazione e competenze, anche nella gestione dei test nei campi pilota e per l’uso di macchinari a minore impatto”, spiega Grati. “In più la società ha una linea molto interessante di soluzioni digitali: satelliti, droni, piattaforme per la tracciabilità delle produzioni. Un elemento di grande valore aggiunto e di accelerazione”. La joint venture fra i due gruppi industriali ha un business plan in quattro anni in Sardegna, finanziato con alcuni milioni di euro. Sono dell’ordine delle centinaia di milioni, invece, come è emerso nel workshop, gli investimenti che Eni sta profondendo in Africa.

In Kenya le coltivazioni di ricino a livello familiare alimentano il primo agri-hub del Paese e dell’intero continente, un impianto di raccolta e spremitura dei semi: l’olio estratto viene lavorato prima di essere inviato alle bioraffinerie di Eni (a Porto Marghera e Gela, in Italia), dove verrà trasformato in biocarburanti per contribuire alla decarbonizzazione dei trasporti.

Per sviluppare i cosiddetti agrifeedstock, cioè piante da cui estrarre oli vegetali come materia prima per produrre i biocarburanti, Eni ha firmato accordi in Congo, Angola, Mozambico, Benin, Ruanda, Algeria, Costa d’Avorio e Kenya, dove si raccoglie anche l’olio di cucina esausto in collaborazione con fast food e ristoranti, con l’obiettivo di coprire il 35% dell’approvvigionamento delle bioraffinerie entro il 2025. Una è allo studio anche in Africa, a Mombasa, per produrre in Kenya 250 mila tonnellate di biocarburante l’anno da olio vegetali e olio alimentare usato.

L’azienda italiana è impegnata a sviluppare una rete di agri-hub nei Paesi africani per aumentare, entro il 2050, la produzione delle bioraffinerie a 2 milioni di tonnellate entro il 2025 e a 6 milioni nel prossimo decennio. Il ‘laboratorio’ in Sardegna e’ considerato una sorta di ‘madre’ per le filiere da sviluppare in Africa e anche un luogo per favorire la formazione e lo scambio di competenze, attraverso una sorta di ‘Academy’, a due passi dai campi, dove lavora il personale della joint venture.

Come nel caso della due giorni dell’Open Lab-Sardinia del 5-6 settembre, qui si raduneranno anche portatori d’interessi a livello internazionale e ‘farmers’ da Paesi africani. Nella ‘farm’ dai muri bianchi di Bonifiche Ferraresi, arriveranno a metà settembre funzionari pubblici del Kenya e del Ruanda, nell’ambito dell’accordo triennale sottoscritto da Eni e con l’Irena, l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili, per accelerare la transizione energetica.

Fonte: Agi, Ph: Roberta Secci

 

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