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INSEPARABILI Putin Zelensky, una coppia specchio che ama riflettersi negli orrori. Come i Pappagalli Verdi

Tanto per non farci mancare nulla, l’Ucraina esce dal Trattato di Ottawa, la Convenzione sulla proibizione dell’uso, stoccaggio, produzione e trasferimento delle mine antiuomo e sulla loro distruzione firmato a Ottawa il 3 dicembre 1997 ed entrato in vigore il 1° marzo 1999 136. L’obiettivo era, e resta per i Paesi che ancora vi aderiscono (tra i quali l’Italia) quello di eliminare le mine antiuomo (APL), armi che causano danni indiscriminati ai civili anche decenni dopo i conflitti, mutilando o uccidendo soprattutto bambini.

Il trattato impone il divieto assoluto di uso, produzione, stoccaggio e trasferimento di mine antiuomo, la distruzione delle scorte esistenti entro quattro anni dall’entrata in vigore, la bonifica dei territori minati entro dieci anni, l’assistenza medica e riabilitazione per le vittime. Tra i 164 paesi aderenti, mancano all’appello USA, Russia, Cina, India, Pakistan e altri 33 Stati. Nonostante le importanti defezioni sono state distrutte 55 milioni di mine dal 1999, il calo del 90 per cento nella produzione globale e la riduzione dell’85 per cento delle vittime annuali rispetto agli anni ’90.

Il Trattato di Ottawa resta un pilastro del disarmo umanitario, ma la crisi geopolitica post-invasione dell’Ucraina ne mina l’universalità. La tensione tra protezione dei civili (sancita dal Trattato) e esigenze di sicurezza (addotte dai paesi baltici) riflette un conflitto etico e strategico senza soluzioni immediate. Il rischio è un ritorno a pratiche che la comunità internazionale aveva quasi debellato.

In questi ultimi mesi Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania (marzo 2025), seguiti da Finlandia (giugno 2025) sono usciti dal trattato per timori di un’ipotetica invasione russa. I rispettivi ministri della Difesa hanno dichiarato la necessaria “flessibilità nell’uso di armi difensive” per proteggere i confini NATO. Numerose ONG italiane e internazionali hanno definito queste defezioni “un pericoloso passo indietro”. Le residue mine presenti sui vari territori di guerra nel solo 2024 hanno prodotto ben 3.600 feriti e duemila morti dei quali il 50 per cento civili.

Per quanto riguarda l’Ucraina il 23 per cento del suo territorio è contaminato da mine russe che ne fa il Paese più minato al mondo registrando 1.286 vittime civili nel periodo 2022-2024. Nel 2024, gli USA hanno fornito a Kyiv mine “non persistenti” (si disattivano in due settimane) per fermare l’avanzata russa.

L’Italia, che è stata una grande produttrice di mine antiuomo, è stato anche uno dei primi Paesi ad aver aderito anche per l’eco prodotto dalla pubblicazione nel 1999 da Feltrinelli, del libro “Pappagalli verdi” scritto dal Dott. Gino Strada che raccoglie memorie e riflessioni del chirurgo durante i suoi primi dieci anni di lavoro con Emergency, l’organizzazione umanitaria da lui fondata. Le esperienze narrate coprono scenari di guerra in Iraq, Ruanda, Afghanistan, Perù, Bosnia, Cambogia, e altri territori devastati da conflitti.

I “pappagalli verdi” sono mine antiuomo sovietiche PFM-1, soprannominate così per la loro forma ad ali e il colore verde. Progettate per essere lanciate dagli elicotteri, somigliano a giocattoli e attirano soprattutto i bambini, causando mutilazioni o morte. Il libro smonta l’idea della guerra come evento eroico, mostrandone gli effetti sui civili, in particolare minori. Le mine antiuomo sono descritte come “armi di terrore” progettate per massimizzare sofferenza e disabilità. Strada accusa le potenze occidentali (tra cui l’Italia) di produrre e vendere tali armi, definendo le mine “business sporco” sostenuto da governi complici.

L’uscita di questo libro fu un fatto traumatico che mise di fronte l’opinione pubblica italiana al tema delle mine antiuomo e delle responsabilità dell’Italia. Molto se ne parlò anche grazie alle ospitate del Dott. Strada alla trasmissione di Maurizio Costanzo “Maurizio Costanzo show”.

L’Ucraina, vittima delle mine antiuomo russe, oggi rischia di diventare carnefice. Zelensky giustifica il passo con la necessità di “bilanciare” la guerra contro un nemico senza scrupoli. Ma imitare la barbarie russa non è difesa: è resa morale. La Convenzione di Ottawa nacque proprio per spezzare questa logica perversa, ora Kiev la sbriciola per convenienza.

Mentre si gioca ancora una volta con i termini “mine temporanee”, i dati di Amnesty International sono lapidari: il 50 percento delle vittime ucraine sono civili, spesso bambini attirati da ordigni simili a giocattoli. Ogni mina è una condanna a decenni di terrore: i contadini di Snihurivka e Bezimenne già oggi sminano a mano i campi per sfamarsi, rischiando la vita. Con nuove mine ucraine, anche quelle “temporanee”, la strage si aggraverà.

Mosca ha sempre dipinto Kiev come “regime terrorista”. Ora, ritirandosi da Ottawa, Zelensky regala a Putin prove gratuite per la sua narrazione. Le mine “a petalo” usate dall’esercito ucraino a Kursk saranno brandite come giustificazione di nuove atrocità. La difesa legittima dell’Ucraina perde credibilità quando adotta le stesse armi bandite da 164 nazioni proprio per la loro crudeltà indiscriminata. Ma se l’Europa smantella il disarmo umanitario, quale autorità morale avrà contro Mosca? Josep Borrell nel 2023 dichiarò: “Noi siamo il giardino, fuori è la giungla”. Oggi l’UE scava fossati minati nel suo giardino, tradendo i suoi valori.

Uscire da Ottawa non è realpolitik, è cinismo vestito da disperazione. Kiev sopravviverà all’invasione, ma erediterà un Paese avvelenato, dove i sopravvissuti dovranno camminare su una terra insanguinata per decenni. Come disse l’ex ministro canadese Lloyd Axworthy: “Abbandonare Ottawa renderà il mondo un luogo più insicuro”. L’Ucraina meritava solidarietà, non trasformarsi in un monito per come la guerra corrode l’umanità. Questa decisione è una resa allo stesso disumano che dice di combattere.




 

 

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