Mentre Donald Trump continua la sua politica di affermazione del principio “America first” imponendo dazi alle importazioni dall’estero, specialmente dalla Cina ma non solo, il resto del mondo si muove in direzione opposta.
Il 7 luglio 2019 a Niamey, capitale della Niger, 54 su 55 Stati africani hanno ratificato l’accordo continentale di libero scambio (African Continental Free Trade Area, AfCFTA), volto alla progressiva eliminazione dei dazi doganali tra essi, alla facilitazione della libera circolazione di beni e, in forma più limitata, di servizi all’interno del continente.
L’accordo tende a creare un mercato unico di 1,3 miliardi di persone e un blocco economico di 3,4 trilioni di dollari. Non mancano certo le difficoltà nell’applicazione degli accordi. Il libero movimento di beni e servizi non può prescindere, infatti, dal libero movimento delle persone. Questo è, forse, il problema più serio da affrontare dato che è ancora fortemente soggetto a impedimenti nel contesto africano, dove ottenere un visto per un Paese confinante può essere molto difficoltoso. A questo bisogna poi aggiungere la scarsa sicurezza della maggior parte dei confini africani, dove la corruzione dilagante e la debolezza delle istituzioni rende il libero passaggio delle merci rischioso ed esposto ad attività illegali.
Questo accordo è stato sponsorizzato da quello che è ormai il partner più importante e invasivo dell’economia continentale africana, la Cina. Secondo uno studio condotto dalla China-Africa Research Initiative presso la Johns Hopkins School of Advanced International Studies, la Cina ha prestato, negli ultimi 10 anni, un totale di 143 miliardi di dollari a 56 nazioni africane messi a disposizione principalmente dall’Export-Import Bank of China e dalla China Development Bank e si appresta ad investire ulteriori 60 miliardi nei prossimi tre anni. Quanto questo massiccio piano di investimenti sia tutt’altro che disinteressato lo dimostra il fatto che solo l’1,6% dei prestiti cinesi è stato dedicato ai settori dell’istruzione, della sanità, dell’ambiente, alimentare e umanitario, a conferma che tutto ciò che interessa alla Cina è costruire un gigantesco polo di approvvigionamento commerciale e militare.
E’ ormai evidente che la politica di penetrazione nel continente africano fa parte integrale della Belt and Road Initiative – o la Nuova via della Seta o One Belt One Road (OBOR) -, il piano di ammodernamento transcontinentale col quale la Cina sta consolidando la sua egemonia mondiale. L’intento, niente affatto nascosto della dirigenza cinese, è quello di accerchiare economicamente e politicamente sia la Comunità Europea che gli USA per creare un forte polo economico che bilanci queste due aree economico-politiche. Vale la pena ricordare che solo nel 2017 i contratti cinesi in Africa sono valsi 76,5 miliardi di dollari.
Se si vuole avere una prova di quanto invasiva sia la presenza della Cina in Africa basta vedere la diffusione del mandarino nelle scuole continentali. Già dal 2014 l’insegnamento del mandarino è diventato corso opzionale di lingua per gli studenti in Sudafrica e dal dicembre 2018 l’Uganda ha introdotto il mandarino come materia di studio per alcune scuole selezionate, il Kenya diventerà il primo Paese africano in cui, dal prossimo anno, il mandarino sarà insegnato in tutte le scuole, insieme al francese, al tedesco e all’arabo.
A questa politica espansionistica, la presidenza Trump non riesce a contrapporre altro che i dazi che stanno mettendo in ginocchio l’economia mondiale trascinandola verso una crisi della quale non si intuiscono le proporzioni e sterili richiami al rispetto dei diritti umani. Quest’ultimo argomento appare quanto meno risibile data la politica statunitense nell’area come affermano anche Deborah Brautigam, direttore dell’Iniziativa di Ricerca sui rapporti Cina Africa e Johns Hopkins ricercatore presso l’Università degli Studi Avanzati Internazionali. “Parlare del disinteresse sui diritti umani di Cina e Russia e insistere su questo argomento è controproducente per gli Stati Uniti.
Non risulta che il governo americano o multinazionali come la Exxon, Coca Cola, Firestone siano particolarmente attente ai diritti umani in Africa. L’assurda e insostenibile alleanza con il regime feudale dell’Arabia Saudita, alleato scomodo di cui la Casa Bianca non riesce a farne a meno, sta favorendo il proliferare di gruppi terroristici salafisti in Africa, assurdamente utilizzati da Stati Uniti e Unione Europea per destabilizzare il continente”.
Ancora una volta l’insensato slogan “aiutiamoli a casa loro” si infrange contro una realtà politica economica e sociale estremamente articolata che ci riporta ad una realtà molto complessa difficilmente affrontabile attraverso facili semplificazioni.