Politica

‘Liberté, Égalité, Fraternité’ è salvo, manca solo ‘transformation’ per dirsi Left, ma intanto abbiamo evitato ‘sto rompimento di cojoni dei fascisti’

Quando il 9 luglio scorso, di fronte ai risultati delle elezioni europee che vedevano la sua netta sconfitta e la crescita della sua rivale storica Marine Le Pen, Emmanuel Macron sciolse il parlamento e indì nuove elezioni, tutti si chiesero quale potesse essere lo scopo di una decisione che in quel momento sembrava suicida. Ieri abbiamo avuto la risposta. I risultati sono stati clamorosi anche se solo nelle dimensioni, nessuno aveva previsto una sconfitta così netta del Rassemblement National ma, a ben guardare, era prevedibile che Marine Le Pen ed il suo giovane scudiero franco italiano Jordan Bardella non avrebbero ottenuto la maggioranza né assoluta né relativa.

Questi risultati sono figli della legge elettorale maggioritaria a doppio turno e non ha tutti i torti chi, da destra, sottolinea la mancanza di rappresentatività della società francese nei risultati di ieri. Alle europee si è votato con il sistema proporzionale. In quel caso si è visto chiaramente quanta parte della popolazione si schierava a favore delle varie compagini politiche e in quel caso l’avanzata di Marine Le Pen è stata netta. Il sistema maggioritario a doppio turno ha permesso, per contro, di giocare sulla convergenza di partiti molto diversi tra loro su un comune obiettivo: fermare il Rassemblement National. Nei ballottaggi il sostegno al candidato più forte ha consentito di non disperdere i voti e di battere il candidato lepenista. L’impossibilità del duo Le Pen Bardella di trovare possibili sponde in altri partiti ha fatto il resto.

Macron in tutta questa storia sembra essere il perdente più contento: seppur perdendo oltre cento seggi, ha parzialmente vinto la sua scommessa anche se la vera partita era e resta quella per l’Eliseo del 2027. Uno dei motivi che ha spinto a sciogliere il parlamento al presidente francese è stato quello di bruciare la candidatura di Le Pen per le prossime presidenziali consentendole, nella peggiore delle ipotesi, di governare da qui al 2027 e trovarsi con scarso gradimento all’elezione che conta.

La Francia è una Repubblica semi presidenziale dove l’inquilino dell’Eliseo ha poteri molto maggiori, per esempio, di quanto la Costituzione americana riconosce al presidente Usa. La Costituzione francese, attualmente in vigore, è la Costituzione della Quinta Repubblica adottata il 4 ottobre 1958 ed è caratterizzata da un presidente della Repubblica e un primo ministro con poteri distinti. Il Presidente viene eletto direttamente dal popolo per un mandato di cinque anni ed ha poteri significativi, tra cui la nomina del primo ministro, la presidenza del Consiglio dei ministri e la possibilità di sciogliere l’Assemblea Nazionale come abbiamo visto fare a Macron il giorno delle elezioni europee.

In prospettiva, adesso che il Rassemblement National non ha la maggioranza e, quindi, non andrà al governo. Questa può rappresentare una vittoria di Pirro che concede la rivincita nel 2027 a Le Pen con buone chance di vittoria specialmente se, al secondo turno, gli elettori dovessero trovarsi a dover scegliere tra lei e Jean-Luc Mélenchon il quale, dal canto suo, sull’onda dell’entusiasmo per il risultato del Nuovo fronte popolare si è prontamente lanciato in un proclama rivendicando alla sua coalizione il diritto di formare il nuovo governo. Anche questo, però, può diventare un canto del cigno. I numeri per governare da soli i partiti del Nuovo fronte popolare non ce l’hanno e all’interno della coalizione ci sono visioni differenti sulle varie ipotesi di aggregazione. Raphaël Glucksmann per esempio vedrebbe con favore un accordo con Ensemble di Emmanuel Macron, ipotesi fortemente esclusa a caldo, ieri sera, da Jean-Luc Mélenchon. Ma la partita è appena cominciata, ci sarà tempo per vedere quali sviluppi ci saranno.

A questo punto viene da chiedersi quale lezione ci arriva da Parigi e quali contraccolpi può avere la situazione francese sugli equilibri europei e sulla posizione di Giorgia Meloni in particolare. Una lezione i cugini d’oltralpe ce l’hanno data sull’antifascismo. Ancora una volta, e non è la prima nella loro storia, l’elettorato, quando ha sentito puzza di fascismo, si è mobilitato relegando il Rassemblement National al terzo posto. Ha ragione Bardella quando dice che la maggioranza dei francesi la pensa come loro su temi come l’immigrazione, ma questo non è stato considerato un motivo sufficiente per mandare al governo i nostalgici del Maréchal Philippe Pétain e del suo governo collaborazionista di Vichy. Da noi, per contro, sono bastate poche promesse elettorali populiste, nemmeno mantenute peraltro, per mandare al governo una coalizione ampiamente rappresentata dai nostalgici di Salò, con buona pace di tutti i progressisti ‘a parole’ che alle elezioni politiche non sono andati a votare.

Sul piano della politica europea è ancora presto per capire quale sarà l’impatto della nuova maggioranza francese sullo scacchiere comunitario. Una cosa è certa: sia Salvini e, ancor più Meloni, avranno una sponda molto meno forte e determinata di quanto si sarebbero auspicati. Specialmente Meloni adesso dovrà scegliere se virare verso l’appoggio alla rinnovata coalizione Ursula o rimanere asserragliata nel gruppo Conservatori e Riformisti Europei (ECR – European Conservatives and Reformists) della quale è leader, entrambi più deboli e isolati.

In conclusione: almeno per questa volta ‘sto rompimento di cojoni dei fascisti’ ce li siamo levati almeno da l’Hôtel de Matignon poi vedremo, un passetto alla volta, c’è da accontentarsi, i tempi sono quelli che sono.


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