Cultura

LIBRERIA “Le mille e una notte di Semerano. Origini mesopotamiche della cultura europea”. Sugli scaffali l’ultimo libro di Noemi Ghetti per L’Asino d’oro

Ghetti è storica antichista, laureata in storia greca, ha compiuto studi filosofici, ha insegnato a lungo e ha al suo attivo molte diverse collaborazioni letterarie e artistiche. È collaboratrice del mensile Left.

Dal 1997 ad oggi ha pubblicato ben otto saggi per diversi editori, su temi e personaggi storici (Miti greci, Plutarco, Machiavelli, Cavalcanti e Dante, Gramsci e Giovanni Semerano), in cui offre la sua rilettura critica della storia e della vita di questi personaggi, non fermandosi mai al fatto o alla lettera delle parole usate dalla didattica e dalla cultura mainstream che ce li ha fatti conoscere.

Una lettura intelligente, sensibile e fantasiosa, mi piace pensare femminile, che le permette di tessere trame finissime di fatti e farci viaggiare nei secoli, confortata dai mille nessi che riesce a creare associando molte e diverse fonti documentali. Siano esse cronachistiche o scientifiche, poetiche, letterarie, artistiche nel senso più ampio, risultano coerenti e si danno forza reciprocamente. In questo modo la lettura dei suoi saggi non risulta mai noiosa, ma ci apre scenari e ci fa vivere al loro interno, facendoci visualizzare atmosfere e partecipare alle passioni delle persone in carne e ossa che li hanno vissuti. Restituisce al lettore un inedito amore per il passato, quale strumento necessario alla comprensione del presente. 

La panoramica dei saggi di Ghetti ci dà modo di realizzare che il suo interesse è rivolto a tutti quegli intellettuali che nel tempo sono stati definiti “eretici”, cioè che si sono discostati dalle interpretazioni accademiche ufficiali della Storia per rivelarne falsificazioni spesso utili ai potenti del loro tempo. In questo quadro si inscrive la ricerca del linguista e filologo Giovanni Semerano, di cui Ghetti si è occupata nel suo libro.

Semerano – lontano dagli ambienti accademici e da questi contrastato per la sua scelta di libera ricerca – ha speso una vita a dimostrare le origini mesopotamiche della lingua e della cultura europea, attraverso lo studio delle più antiche lingue e tramite sensibilissime ricostruzioni, smantellando così la pretesa di superiorità della cultura Europea e la sua accampata supremazia intellettuale. Ha dimostrato assonanze e radici comuni fra parole greche, di cui i dizionari correnti dichiarano l’etimologia sia sconosciuta, e parole delle più antiche lingue mediorientali (accadico, la lingua madre semitica, sumero, assiro, babilonese). Il logos occidentale non è nato dal nulla, così come la leggendaria razza indo-europea, ma deriva quindi da lingue preesistenti del Vicino Oriente, per le più comuni e prevedibili influenze di una vicinanza territoriale e di contatti non solo commerciali fra i popoli del bacino del Mediterraneo. 

Le parole sono più tenaci delle pietre… annodano fraterne consonanze con civiltà e popoli lontani nel tempo e nello spazio… a chi sappia auscultarne come in una conchiglia il suono e trovarne l’etimologia, rivelano sensi preziosi per studiare le origini della nostra storia G. Semerano (da “Le parole dell’origine” intervista radiofonica del 2001, trasmissione ‘Uomini e Profeti’, Radio3 reperibile in podcast)

Questa visione ribalta completamente qualsiasi tesi di superiorità razziale e morale dell’Europa verso l’Oriente, ma anzi dimostra come la Storia sia stata un continuum di movimenti e incontri fra umani e come le contaminazioni e i meticciati siano la norma fra i popoli, che quindi derivano gli uni dagli altri e portano con sé nella lingua e nell’arte traccia evidente di questa origine comune. Il concetto di razza ariana perde quindi qualsiasi fondamento. L’unica razza da considerare è quella umana.

“Le parole, più durature di qualsiasi metallo, …sono testimonianze autorevoli di una nostra unità antica che coinvolge per la prima volta più saldamente i popoli del Vicino Oriente, dove fiorirono le più grandi e antiche civiltà.” G. Semerano (da “Le origini della cultura europea”)

Questa istanza è dimostrata linguisticamente da Semerano e ci permette di tracciare un prima e dopo filosofico nel passaggio tra le culture mesopotamiche e quella successiva greca, nel momento in cui rileva la diversa interpretazione dell’Apeiron del filosofo presocratico Anassimandro di Mileto, solitamente tradotto con infinito, e ne attribuisce la provenienza al semitico apar, tradotto con terra. Ecco che l’origine della vita non è più astratta e trascendente, ma torna ad essere biologica. 

Semerano riteneva che la linguistica ufficiale avesse volutamente dimenticato le influenze delle lingue dei vinti in quelle dei vincitori e questa sua tesi è totalmente confermata dal ritrovamento avvenuto a Ninive del primo poema epico babilonese scritto in accadico e risalente al XIX sec. a.C., L’Epopea di Gilgamesh, mitico re di Uruk. Nel poema si parla di un diluvio e della scalata alla montagna sacra come prove che tutti nostri miti (il diluvio, l’ascesa al Paradiso) e quello che veniva definito il primo libro, la Bibbia, verbo di Dio, scritto dai Giudei durante la cattività babilonese del V sec. a.C., sono tutti già presenti in un libro di 2.000 anni prima.

L’Epopea di Gilgamesh ci dà prova, suffragata dai ritrovamenti archeologici, che quello era un tempo dove non esistevano guerre, né Stati, né religioni, né razzismi e dove ci si interrogava già sul senso della vita, l’amore, la felicità, quello che ci fa naturalmente umani. Gilgamesh è per due terzi divinità finché non diventa umano grazie all’amicizia con Enkidu, terreno e selvatico, a sua volta reso umano da sei giorni e sette notti (il tempo della creazione) passati a far l’amore con una splendida fanciulla. Tutto ben diverso dalla storia tramandata di Caino e Abele e dalla successiva visione misogina e moralistica dei romani riguardo alla libertà e parità di cui godevano le donne etrusche, da loro infatti considerate viziose svergognate.

Le parole servono per riuscire a pensare i concetti, l’interpretazione falsata delle parole ribalta il paradigma del pensiero e può fornire basi su cui fondare teorie razziste e discriminatorie, incluso il patriarcato, che tanto dolore stanno spargendo nel mondo. 

Da qui il grande valore politico di questo libro. Ci toglie un macigno dal cuore, lì deposto da millenni di falsificazioni culturali – che oggi si avvalgono anche di diversi e velocissimi mezzi di diffusione – e ci fa pensare nuovamente possibile una diversa umanità e una vita sociale migliore. 

La storia antica (sarà per questo che si vuole eliminare dalla didattica?) dimostra che l’uomo non è cattivo per nascita e che la decadenza generale della quale siamo testimoni non è un fatto naturale e inevitabile, ma che il corso può essere invertito restituendo il senso alle parole.

E allora viva gli eretici coraggiosi, che rifiutano queste bugie e restituiscono la vitalità e la voglia di combattere le bugie a chi rischia di perderle. Sono tanti, Ghetti ci fa viaggiare mirabilmente nelle loro ricerche: da Gilgamesh a Nietzsche, a Leopardi, a Gramsci, a De Martino, a Semerano, fino allo psichiatra Massimo Fagioli, che dà un nome alle cose del non cosciente da cui il linguaggio deriva. Le articolate elaborazioni dei loro studi e delle conoscenze accumulate in tutta una vita, hanno molti tratti in comune. La loro sensibilità e l’interesse per l’umanità, l’affettività e la capacità di leggere fra le righe e fare nessi anche emotivi, la loro onestà e l’avversione dei rispettivi ambienti accademici, non appaiono coincidenze.

Saliamo sulle spalle di questi giganti per costruire il futuro, per sentirci parte della catena umana. Lo dobbiamo a loro per gratitudine, a noi stessi e a chi verrà dopo di noi, perché non si debba ripartire sempre da zero a difendere l’umanità che vuole riemergere e si tenta sempre di emarginare.

Silvia Luminati

 

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