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il vaccino Tat migliora l’effetto dei farmaci anti-HIV

Lo studio clinico di fase II condotto in Sudafrica ha confermato che il vaccino terapeutico Tat contro l’HIV/AIDS può migliorare le terapie oggi disponibili per il trattamento dell’infezione da HIV.  I risultati vengono pubblicati oggi sulla rivista peer-review open access Retrovirology, uno dei giornali più autorevoli nel campo dell’HIV/AIDS. Il vaccino è stato sviluppato nei laboratori dell’Istituto Superiore di Sanità dal Centro Nazionale AIDS (CNAIDS), diretto dalla Dott.ssa Barbara Ensoli.

“Il Programma di cooperazione bilaterale tra il governo Italiano e quello del Sudafrica per la lotta contro l’HIV/AIDS, di cui fa parte questo studio – ha sottolineato Walter Ricciardi, Presidente dell’ISS –  rappresenta un esempio di eccellenza che ha saputo efficacemente trasformare i risultati della ricerca clinica in strumenti per la salute pubblica, promuovendo in tal modo quella che si chiama  ricerca traslazionale. Non solo: a partire dal potenziamento del sito clinico-laboristico MeCRU, l’Unità di Ricerca Clinica della Sefako Makgatho University del Sudafrica dove si è svolto lo studio, fino allo sviluppo in loco di una struttura GMP (Good Manufacturing Practice) per la produzione di vaccini, l’ISS ha promosso innovazione e sviluppo a livello internazionale”.

“Con la somministrazione di una piccolissima quantità della proteina Tat – ha spiegato Barbara Ensoli – siamo stati in grado di indurre una risposta immunitaria capace di migliorare l’efficacia dei farmaci anti-HIV, evidenziata da un aumento significativo di cellule T CD4. Un risultato che conferma quanto già visto in un precedente trial condotto in Italia”.

La ricerca ha coinvolto 200 pazienti – ricordiamo che in Sudafrica vivono sette milioni di persone infettate, pari al 20% dell’intera popolazione – in terapia con farmaci anti-HIV,  che agiscono bloccando la replicazione del virus. I partecipanti allo studio sono stati “randomizzati” (ovvero distribuiti in modo casuale) in due gruppi, che hanno ricevuto tre iniezioni per via intradermica di 30 microgrammi di vaccino o di placebo, a distanza di un mese l’una dall’altra. Lo studio è stato condotto in “doppio cieco”, ovvero senza che né i volontari né gli sperimentatori conoscessero chi riceveva il vaccino o il placebo. L’apertura dei codici, avvenuta a conclusione dello studio (48 settimane dalla prima vaccinazione), ha evidenziato un aumento significativo di cellule T CD4 nel gruppo dei vaccinati rispetto al placebo. L’aumento era particolarmente evidente per i pazienti con i più bassi livelli di cellule T CD4 al momento della vaccinazione.

Come funziona il vaccino Tat

Il vaccino ha come bersaglio la proteina Tat di HIV, che viene prodotta nelle prime fasi dell’infezione. Tat ha un ruolo chiave nella replicazione virale e nella progressione della malattia, poiché indebolisce il sistema immunitario. Il vaccino agisce inducendo anticorpi protettivi in grado di neutralizzare la proteina Tat prodotta dai vari “sottotipi” del virus, inclusi i sottotipi A, B e C circolanti in Asia, Europa, America e Africa. Promette, perciò, di incrementare l’efficacia delle attuali terapie contro le principali forme del virus presenti nel mondo, e in ultima analisi, di aumentare l’aspettativa di vita delle persone con HIV.

Questo studio conferma i risultati di un precedente trial  di fase II condotto in Italia in pazienti infettati con differenti sottotipi di HIV rispetto ai pazienti africani, trattati con farmaci anti-HIV, nel quale si è dimostrata, oltre alla sicurezza e all’immunogenicità, anche la produzione di anticorpi contro Tat e un significativo recupero di cellule T CD4+.

Nel follow-up dello studio italiano, a distanza di tre anni dalla vaccinazione, è stata inoltre osservata una significativa diminuzione del “serbatoio” ematico di virus “latente”, una forma silente del virus inattaccabile dai farmaci. Il virus latente è responsabile dell’aumento della viremia plasmatica osservata dopo interruzione della terapia o quando la terapia è assunta discontinuamente, come avviene in circa il 30% dei pazienti in trattamento. La riduzione del serbatoio di virus latente conseguente alla vaccinazione è ora oggetto di uno studio di follow-up anche in Sudafrica, allo scopo di confermare i dati ottenuti con lo studio italiano.

Il Programma di cooperazione

Lo studio clinico è parte del “Programma di sostegno al Ministero della Sanità del Sudafrica per la realizzazione del programma nazionale di risposta globale all’HIV-AIDS nelle zone di confine tra Sudafrica e paesi circostanti e in regioni selezionate” (vedi allegato), finanziato dal Ministero degli Affari Esteri italiano  (MAE) con 22 milioni di euro, diretto dalla Dott.ssa B. Ensoli (responsabile scientifico) e dal Dr. Paolo Monini (capoprogetto in Sudafrica) in stretta collaborazione con il Ministero della Salute e il Medical Research Council del Sudafrica.

I risultati del Programma sono stati valutati dalla United Nations Industrial Development Organization (UNIDO) che ha monitorato, nell’arco di circa un anno, le procedure di implementazione, il rapporto costi-benefici e l’impatto del Programma in Sudafrica, auspicando, in conclusione, che la sperimentazione del vaccino prosegua con la fase III per la registrazione in Sudafrica.

Le controparti italiane e sudafricane si stanno impegnando a questo fine per sollecitare il sostegno finanziario da parte di organizzazioni internazionali.

 

 

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