Il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti è agli arresti domiciliari nell’ambito di una inchiesta della Dda genovese e della guardia di finanza. L’accusa è di corruzione.
Arresti domiciliari anche per Matteo Cozzani, capo di gabinetto e braccio destro di Toti. E’ accusato di corruzione elettorale, aggravato dalla circostanza di cui all’art. 416-bis.1 c.p. perché, per l’accusa, avrebbe agevolato l’attività di Cosa Nostra. In particolare avrebbe agevolato il clan Cammarata del mandamento di Riesi (Caltanissetta) con proiezione nella città di Genova. E’ accusato anche di corruzione per l’esercizio della funzione.
Ai domiciliari anche il terminalista genovese Aldo Spinelli. In carcere invece l’ex presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale Paolo Emilio Signorini, oggi amministratore delegato di Iren. Secondo l’inchiesta, l’imprenditore avrebbe dato soldi a Toti per ottenere in cambio favori come la concessione a Spinelli per le aree del terminal Rinfuse.
Nell’ambito dell’inchiesta della procura di Genova su un giro di corruzione, è indagato anche Francesco Moncada, consigliere di amministrazione di Esselunga S.p.A.. Moncada, sottoposto al divieto temporaneo di esercitare l’attività imprenditoriale e professionale con l’accusa di corruzione. Stessa misura per Roberto Spinelli, imprenditore nel settore logistico ed immobiliare, figlio di Aldo Spinelli, e per Mauro Vianello, imprenditore operante nell’ambito del Porto di Genova, accusato di corruzione nei confronti di Signorini, ex presidente del porto.
Un enorme mortaio galleggiante, che sfila su una chiatta, al tramonto, sul Tamigi. Per dire al mondo che il pesto, con tutti gli hashtag del caso, è un capolavoro. Altro che pizza, Liguria state of mind. Una regione in espansione che Giovanni Toti prese ad allargare a piacimento con l’annessione di Novi Ligure. Il Piemonte barcollò, lui, il viareggino, da forzutissimo uomo d’immagine cavalcò la gaffe. E rilanciò col Molise terra di laghi e fiumi, ma di mare no.
Toti è uomo da raccontare per flash. Le gaffe sono folklore. Un lampo dopo l’altro, una folgorazione alla volta: da Mediaset a governatore, un percorso pirotecnico. Ora è finito ai domiciliari in una storia di presunte mazzette, a Genova. Nel 2020 se l’era vista mediaticamente brutta. Scrisse in piena pandemia che “per quanto ci addolori ogni singola vittima del Covid 19, dobbiamo tenere conto di questo dato: solo ieri tra i 25 decessi della Liguria, 22 erano pazienti molto anziani. Persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese che vanno però tutelate”. Cadde, risorse con enorme sforzo produttivo.
La carriera di Toti è una scalata in assetto mai costante. Nel 2014 scalzò il delfino Angelino Alfano nelle gerarchie di Forza Italia, alla vigilia – come adesso – di una tornata elettorale europea. Cresciuto e pasciuto in Mediaset, sposato con la vicedirettrice di Videonews, Siria Magri, santificato per ruolo e discendenza al Tg4. Nel 2012 aveva preso il posto di Emilio Fede. C’era arrivato in fuga, alla Pogacar: nel 2006 Liberitutti per Rete4, nel 2007 vicedirettore dell’ufficio stampa di Mediaset, poi Lucignolo e Live, nel 2010 è direttore di Studio Aperto. Uno scalpo dietro l’altro, la prossimità al Cavaliere prende un percorso a spirale, sempre più stretta. Entra nel famigerato cerchio magico di Arcore, con Mariarosaria Rossi, Francesca Pascale e Debora Bergamini.
Toti è un aspira-voti: tra il 2014 e il 2015 diventa europarlamentare e poi presidente della Regione Liguria. E’ l’apice elettorale del “moderatissimo”, col traguardo ad un passo: il Cavaliere è preso dai guai giudiziari, lui diventa coordinatore nazionale di Forza Italia. Manca l’ultima folgore.
E invece nel 2019 si mette in proprio, più o meno. Dice che “Berlusconi vuol comandare da solo” e lancia “Cambiamo!”, il movimento arancione come solo la rivoluzione del sindaco De Magistris a Napoli. E’ uno strappo che resta a lui. Nel 2020 conquista il secondo mandato in Regione Liguria, l’anno successivo progetta un Terzo polo, anticipando Renzi e Calenda, con il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. Lo chiama “Coraggio Italia”. Che per una pattuglia di ex Forza Italia è un claim di sottile ironia.
Con le dimissioni di Draghi, per le urne Toti si allea con Udc e Noi con l’Italia. Lo scorso novembre rientra nell’orbita Meloni, un po’ di soppiatto, da presidente del consiglio nazionale di Noi Moderati. Il colpo giudiziario è l’ultimo fulmine, sul ciel sereno di Genova. La chiatta col mortaio è ormai al largo. Resta il tramonto. (Dire)
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