Salute

Medici in fuga da un Servizio sanitario nazionale sempre più “povero”. L’allarme di Fnomceo

Il Rapporto Fnomceo-Censis racconta di risorse pubbliche cresciute troppo poco, di retribuzioni del personale in calo, di carichi di lavoro sempre più pesanti. E di una aziendalizzazione che premia il rispetto dei vincoli di bilancio piuttosto che la qualità dell’assistenza ai cittadini

Negli ultimi 24 mesi il 44,5 per cento degli italiani ha sperimentato, direttamente o tramite familiari, situazioni di sovraffollamento dei reparti ospedalieri o comunque di strutture sanitarie. Inoltre, le liste di attesa molto lunghe nelle strutture pubbliche o del privato accreditato e il relativo inevitabile ricorso al privato puro o quelle in strutture e servizi intasati e non in linea con gli standard attesi di qualità, hanno reso attuale l’urgenza sociale di un diverso approccio alla sanità.

Di queste considerazioni si è discusso in un incontro ( “Dall’economia al primato della persona”) promosso giovedì 11 luglio a Roma dalla Federazione  nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo). Il convegno  è stato anche l’occasione per illustrare il Rapporto Fnomceo-Censis “Il necessario cambio di paradigma nel Servizio sanitario: stop all’aziendalizzazione e ritorno del primato della salute”.

Secondo la Fnomceo esiste ormai un ampio consenso sociale sull’urgenza di rilanciare il Servizio sanitario pubblico, provato da un prolungato depotenziamento a causa di risorse cresciute troppo poco rispetto ai bisogni sanitari di una popolazione che invecchia e che richiede risposte assistenziali appropriate per acuzie, cronicità sempre più diffuse e per possibili emergenze.

Anche il moltiplicarsi di aggressioni ai medici ne è un segnale, secondo la Fnomceo, non essendo altro che la trasformazione del medico stesso nel capro espiatorio di contesti difficili  ed eventuali prestazioni non in linea con le aspettative. Peraltro, l’84,3 per cento degli italiani ritiene che le aggressioni ai medici siano un’emergenza su cui occorre intervenire con provvedimenti urgenti ed efficaci.

Se l’aumento del finanziamento pubblico è una precondizione ineludibile, tuttavia non esaurisce il problema. Quello che va messo in discussione, sostiene la Fnomceo, è l’approccio aziendalistico, in cui il rispetto di vincoli di bilancio prevale rispetto a criteri fondati sulla necessità e l’appropriatezza delle prestazioni per la tutela della salute dei cittadini

Il paradosso. Il contenimento della spesa come obiettivo primario ha generato «il perverso spostamento del costo di una parte non irrilevante di prestazioni appropriate dal bilancio pubblico ai budget privati delle famiglie, creando il presupposto di una sanità differenziata per capacità economica». Ormai nove italiani su dieci si dichiarano convinti e preoccupati del fatto che il vincolo di bilancio sia stato troppo a lungo il criterio principe delle decisioni relative alla spesa pubblica per la sanità.

L’aziendalizzazione, inoltre, è stata anche all’origine di una «prolungata e autolesionistica» politica di contenimento della spesa per il personale sanitario, con un marcato disinvestimento nei medici, infermieri e altri operatori.

Così, nel tempo, lavorare nel Servizio sanitario è diventato sempre più difficile, pesante, ad altissimo rischio di burn-out, senza adeguate gratificazioni economiche.

Da qui, sostiene il Rapporto, «l’inevitabile fuga dal Servizio sanitario verso soluzioni professionali meno logoranti e a più alta gratificazione, nella libera professione così come nelle sanità di altri paesi».

Nel frattempo, però, le esigenze di personale sono state affrontate ricorrendo a contratti temporanei e addirittura a forme di forniture di servizi. Considerate le unità annue di lavoro a tempo determinato e interinali, per le figure sanitarie si registra dal 2012 al 2022 un aumento del 75,4%. Nello stesso periodo, le figure sanitarie stabili, a tempo indeterminato, sono aumentate solo del 2,6%. La spesa per lavoro a tempo determinato, consulenze, collaborazioni, interinale e altre prestazioni di lavoro sanitarie e sociosanitarie provenienti dal privato è stata di 3,6 miliardi di euro nel 2022, con un aumento del 66,4% rispetto al 2012. Nello stesso periodo, la spesa per il personale permanente è aumentata solo del 6,4%. La spesa totale per le retribuzioni dei medici permanenti nella Pubblica amministrazione tra il 2012 e il 2022 è rimasta sostanzialmente invariata, registrando un +0,2%, con calo del 2,5% tra il 2012 e il 2019 e un aumento del 2,8% tra il 2019 e il 2022. Tra il 2015 e il 2022 le retribuzioni dei medici nella Pubblica amministrazione sono diminuite, in termini reali, del 6,1%. Del resto, fatto 100 il valore delle retribuzioni dei medici dipendenti italiani, nei Paesi Bassi è di 176, in Germania 172,3 e Irlanda 154,8: i medici italiani, insomma, guadagnano molto meno dei colleghi di altri Paesi omologhi.

I medici ci sono. Basta rendere il Ssn attrattivo. La criticità reale non consiste però nella scarsità assoluta di medici rispetto alle necessità, quanto piuttosto nella perdita di attrattività relativa del Servizio sanitario rispetto alle opportunità libero professionali, peraltro poi richieste proprio dalle strutture della sanità pubblica.

In Italia ci sono 410 medici per centomila abitanti, più della Francia che ha 318 medici per centomila abitanti o i Paesi Bassi che ne hanno 390. In questa fase il problema chiave del Servizio sanitario non è dunque la carenza in assoluto di personale medico, bensì la ridotta capacità attrattiva e di trattenimento, con collocazione permanente rispetto a contratti alternativi temporanei o alla fuga all’estero.

Pertanto, secondo il Rapporto, piuttosto che ricorrere a medici di altri Paesi, sarebbe opportuno promuovere investimenti adeguati per restituire attrattività al lavoro nel Servizio sanitario. Così, del resto, la pensa l’85% degli italiani.

Allo stesso modo, il 92,5 per cento degli intervistati indica come massima urgenza procedere all’assunzione di medici e infermieri nel Servizio sanitario nazionale e l’84,5 per cento è convinto che avere troppi medici con contratti temporanei indebolisce la sanità. Per l’87,2 per cento è quindi prioritario migliorare le condizioni di lavoro e le retribuzioni dei medici.

Nonostante tutto gli italiani continuano a essere orgogliosi del proprio Servizio sanitario nazionale. Quasi il 92per cento degli italiani considera la sanità per tutti motivo di orgoglio per il Paese e distintività a livello internazionale. Anche per questo, l’83,6per cento dichiara esplicitamente che, dopo l’esperienza traumatica del Covid, si aspettava molte più risorse e un maggior impegno per potenziare la sanità. Una riserva di disillusione consistente, condivisa da maggioranze rilevanti sui territori.

Che fare? Dalla ricerca emergono indicazioni operative che per la Fnomceo vanno intese come priorità: avere più medici con retribuzioni più gratificanti, in linea con quelle di un numero consistente di Paesi europei; impegnare più risorse pubbliche per ampliare la capacità di erogare prestazioni e accogliere pazienti in una sanità alle prese con gli effetti dell’invecchiamento della popolazione. Poi, ancora, ridare centralità al medico restituendogli autonomia decisionale sulle prestazioni appropriate oggi limitata dai molteplici vincoli di budget e da altri lacci e lacciuoli imposti dal primato dell’economia come esito dell’aziendalizzazione.

«È necessario un nuovo paradigma – sostiene il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli – che metta al primo posto la centralità assoluta della tutela della salute, della prevenzione e del follow up, introducendo i principi del governo clinico nella gestione delle risorse e l’attribuzione ai medici di un ruolo essenziale in questi processi decisionali. Bisogna passare – aggiunge – da un modello che veda la definizione delle risorse come primo atto per poi passare a massimizzare la redditività per cercare di centrare gli obiettivi di efficienza assistenziale a uno che invece definisce prima gli obiettivi di salute e gli strumenti assistenziali per poi individuare tutte le risorse necessarie».

Fonte: healthdesk


 

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