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Migliaia di drusi piangono i giovani uccisi nell’attacco missilistico su territori contesi da Israele, Siria ed Egitto. Sembra l’inizio della terza guerra mondiale

Tanto tuonò che piovve. A forza di colpirsi reciprocamente con attacchi poco più che dimostrativi, tra Israele e la milizia sciita filo iraniana Hezbollah sono partiti i colpi pesanti. C’è da vedere se il razzo lanciato dal territorio libanese che ha colpito un campo di calcio nella cittadina druso-israeliana di Majdal Shams, e che ha causato dodici morti, soprattutto bambini e ragazzi, e oltre trenta feriti, di cui sei in gravissime condizioni possa essere considerato un punto di non ritorno che rischia di trasformare le tensioni con gli Hezbollah in una guerra “aperta e totale”. I miliziani capeggiati da Hassan Nasrallah respingono la responsabilità dell’attacco, ma tutti gli indizi portano al Partito di dio libanese con l’aggravante che l’ordigno sembra essere di fabbricazione iraniana.

In questa sorta di caleidoscopio storico religioso che è il Medio oriente si va ad inserire anche la particolarità del fatto che i civili colpiti nell’attacco di Hezbollah sono drusi considerati dai puristi sciiti una sorta di musulmani eretici. I drusi, infatti, sono un gruppo etnoreligioso con una religione monoteista che si è originata nell’Islam ismailita durante l’XI secolo, ma che si è sviluppata con credenze e pratiche autonome. In aggiunta al significato strategico dell’attacco al campo di calcio israeliano si inserisce anche il dato etnico religioso di colpire una popolazione considerata traditrice del “vero Islam”, come definiscono gli sciiti la propria religione. Un ulteriore significato politico è il fatto che stiamo parlando del territorio delle alture del Golan occupate dal 1967 dallo stato ebraico contro lo stesso parere dell’ONU che ha ripetutamente sanzionato Israele per questa ed altre occupazioni. Durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967, Israele occupò, infatti, diversi territori che erano sotto il controllo arabo.

Innanzi tutto la Cisgiordania noto anche come West Bank, che era sotto il controllo giordano dal 1948 fino al 1967. La Cisgiordania comprendeva Gerusalemme Est, inclusa la Città Vecchia con i suoi luoghi sacri. Altro territorio occupato in quella circostanza, che è oggi drammaticamente attuale, è la Striscia di Gaza che era sotto il controllo egiziano dal 1948 fino al 1967. La penisola del Sinai fino ad allora sotto il controllo egiziano e, per l’appunto, le alture del Golan, territorio siriano furono le altre zone extra palestinesi occupate in quella occasione dalle forze israeliane. Dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adottò diverse risoluzioni riguardanti il conflitto arabo-israeliano e le conseguenze territoriali e politiche della guerra. La più importante di queste è la Risoluzione 242 (22 novembre 1967) che stabilisce i principi per una pace giusta e duratura in Medio oriente e, tra le altre richieste, include il ritiro delle forze armate israeliane dai territori occupati nel conflitto appena terminato. Non c’è bisogno di dire che questa risoluzione è stata sistematicamente respinta da tutti i governi che si sono succeduti a Tel Aviv e, anzi, la porzione di territorio palestinese sottratto nella West Bank è andato man mano aumentando con sempre più imponenti insediamenti.

Fin qui la storia adesso c’è da capire cosa aspettarsi da questa che sembra una inarrestabile escalation. Una cosa è certa, un attacco di queste dimensioni e significato politico non sarebbe stato autorizzato da Hassan Nasrallah senza una preventiva autorizzazione della dirigenza iraniana. E, se sarà come le altre volte, sarà proprio il territorio della Repubblica islamica dell’Iran ad essere il prossimo possibile obiettivo israeliano. La domanda a questo punto è: quanto potrà ancora reggere questo gioco a ribattino portato avanti sotto tono prima che deflagri in una vera e propria guerra regionale, e quanto sarà possibile circoscrivere questo eventuale conflitto all’interno dell’area Medio orientale? Il passo successivo sarebbe un asse che comprenderebbe Iran, Russia, Cina e Nord Corea belligeranti contemporaneamente in Medio oriente, Europa orientale e area indopacifica con un attacco a Taiwan.

E’ uno scenario di una gravità eccezionale e dagli sviluppi imprevedibili ma a sentire sir Roly Walker, nuovo capo dell’esercito britannico tutt’altro che remoto. Secondo quanto riportato da La Repubblica nei giorni scorsi, Roly Walker, nuovo capo dell’esercito britannico, ha utilizzato parole forti durante il suo primo discorso ufficiale presso il Royal United Services Institute, tenutosi il 23 luglio: “L’esercito britannico deve essere preparato ad affrontare una possibile Terza guerra mondiale: entro il 2027, la Cina potrebbe attaccare Taiwan, ampliando il conflitto”. Un discorso da far tremare i polsi anche al più navigato dei politici che non sembra, però, aver impensierito più di tanto né il mondo della politica internazionale né, tanto meno, l’ormai dormiente opinione pubblica internazionale che non sembra avvertire il pericolo. In questo, così come in altri casi, la cappa del fatalismo sembra aleggiare su tutti noi che saremo le prime vittime di una eventuale catastrofica terza guerra mondiale.


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