Più di quarantamila sfollati, tra le persone assistite da MSF, il 75 per cento senza stabilità abitativa, il 33 per cento non si sente al sicuro
A cinque mesi dall’inizio dell’operazione militare israeliana Muro di Ferro nel nord della Cisgiordania, Medici Senza Frontiere pubblica la nota informativa “Five Month Under Iron Wall ” che mette in luce il costo umano dello sfollamento prolungato e allerta sul peggioramento delle condizioni sanitarie e di vita delle persone sfollate.
Nel nord della Cisgiordania, infatti, più di quarantamila persone rimangono tuttora forzatamente sfollate, isolate dalle proprie case e con accesso estremamente limitato ai servizi di base e all’assistenza sanitaria . L’operazione militare su vasta scala Iron Wall ha visto le forze israeliane fare irruzione nei campi e svuotarli con violenza, causando lo sfollamento di persone storicamente radicate nel nord della Cisgiordania. I tre campi occupati dalle forze israeliane sono quelli di Jenin, Tulkarem e Nur Shams.
“Dopo cinque mesi, l’operazione militare continua. I campi rimangono isolati, con i soldati israeliani che impediscono attivamente a chiunque di entrare. Le famiglie sono ancora in una situazione di stallo e temiamo che le necessità umanitarie continuino ad aumentare” afferma Simona Onidi, coordinatrice dei progetti di MSF a Jenin e Tulkarem.
Il briefing note si basa sui dati raccolti da MSF sul campo e su quasi trecento interviste condotte a metà maggio in 17 località nel nord della Cisgiordania, dove MSF opera assistendo persone sfollate con forza dai tre campi. I risultati mostrano che le comunità colpite dallo sfollamento affrontano situazioni di crescente instabilità e non riescono a soddisfare pienamente i bisogni primari come l’accesso a cibo, acqua e assistenza sanitaria.
Quasi la metà delle persone intervistate è stata sfollata con forza, anche più di tre volte nell’arco di quattro mesi, mentre quasi il 75 per cento delle persone non sa se potrà restare dove si trova attualmente e più del 33 per cento si riferisce di sentirsi insicuro nel luogo in cui risiede ora. I bisogni di salute mentale sono in aumento, soprattutto tra donne e bambini, poiché i continui sfollamenti, l’incertezza e la violenza subita aggravano lo stato di sofferenza.
“Viviamo in uno stato di paura costante. Le forze israeliane pattugliano quasi sempre l’area vicino a dove vivo con la mia famiglia. Teniamo le valigie pronte sempre con noi, pronti a fuggire da un momento all’altro se dovessimo essere nuovamente sfollati” racconta una donna sfollata dal campo profughi di Nur Shams .
I dati raccolti da MSF mostrano anche uno schema preoccupante di violenze mirate e deliberate contro i residenti dei campi che cercano di tornare nelle proprie case. Sono stati segnalati oltre 100 episodi di violenza indiscriminata , tra cui sparatorie, aggressioni e detenzioni, che colpiscono persone di ogni età e genere. Alcune famiglie hanno trovato le proprie case incendiate, saccheggiate o occupate, ad altre è stato esplicitamente detto di non tornare più. I rientri sono fortemente limitati, l’accesso viene per lo più negato o concesso per periodi molto brevi.

“Quando sono tornato a casa, all’interno del campo, ho visto che era stata incendiata e il mio vicino era stato ucciso” racconta un uomo sfollato dal campo profughi di Tulkarem.
Una persona su tre non è riuscita a raggiungere un medico quando ne aveva più bisogno, a causa dei costi elevati, della distanza o della mancanza di trasporti. Quasi la metà degli intervistati si riferisce di aver avuto un accesso discontinuo a cibo e acqua. Inoltre, il 35 per cento di chi soffre di malattie croniche non riesce a ricevere farmaci con regolarità.
In risposta alla crisi in corso, MSF ha attivato team mobili, operativi in oltre quaranta siti pubblici, in rifugi per sfollati a Jenin e Tulkarem e in centri sanitari di base gestiti dal ministero della salute, dove i team MSF offrono servizi di assistenza sanitaria di base, supporto alla salute mentale e svolgono attività di promozione della salute.
L’operazione militare Iron Wall non è la prima né l’ultima delle violenze inflitte ai palestinesi in Cisgiordania. Si tratta dell’intensificarsi di una situazione già critica, che si è deteriorata sempre più col tempo, in particolare da ottobre 2023. Come dimostrato dal rapporto MSF “Infliggere danni e negare cure” (PDF in inglese) , pubblicato a febbraio 2025, la Cisgiordania è da tempo teatro di violazioni ripetute contro civili e organizzazioni mediche, e l’attuale crisi umanitaria nel nord del paese non può essere compresa separatamente dal più ampio contesto di misure coercitive, violente e di annessione dell’area palestinese.
“Quello a cui stiamo assistendo nel nord della Cisgiordania non è solo un’emergenza umanitaria, è una crisi provocata deliberatamente, prolungata intenzionalmente di giorno in giorno” conclude Simona Onidi, coordinatrice dei progetti di MSF a Jenin e Tulkarem. “Al momento l’assistenza umanitaria è insufficiente e incostante, le organizzazioni devono intensificare la risposta: la popolazione palestinese ha bisogno di rifugi, cure mediche, supporto psicologico e protezione. Chiediamo la fine delle operazioni militari israeliane, dell’uso letale della forza e delle restrizioni imposte alle comunità sfollate, affinché sia permesso loro di tornare nei campi in cui risiedono, in sicurezza e con dignità”.




