Diritti

Filippo Mosca come Ilaria Salis, la denuncia della madre: «Detenuto in Romania in condizioni disumane tra cimici e ratti»


Filippo Mosca, 29enne detenuto in carcere in Romania, si profila come un nuovo caso Salis. Si tratta di un giovane condannato a 8 anni e 6 mesi con l’accusa di traffico internazionale di droga. La madre Ornella Matraxia è disperata e da maggio dello scorso anno continua a chiedere aiuto affinché il figlio venga tirato fuori dal carcere rumeno in cui, stando al suo racconto, vive in condizioni disumane. L’igiene è zero: i detenuti sono costretti a pulirsi con stracci sporchi, i materassi sono invivibili e sono infestati dalle cimici. Un racconto che ricorda quello denunciato da Ilaria Salis, la 39enne italiana in carcere in Ungheria con l’accusa di aver aggredito due neonazisti. Il dramma del 29enne ha inizio a maggio dello scorso anno, quando arriva in Romania con la sua fidanzata per una vacanza dedicata al festival musicale “Mamaia”, un evento che si tiene annualmente a Costanza. In quell’occasione, una conoscente ha chiesto loro di far recapitare al loro hotel un pacco che non riusciva a ricevere. Solo in seguito, all’arrivo della polizia, Filippo e la ragazza si sono resi conto che dentro c’erano droghe come hashish, ketamina e mdma, sufficienti per un’accusa di traffico internazionale. Lei è stata rilasciata dopo una notte, lui no. Nonostante la destinataria del pacco lo abbia scagionato e dalle perquisizioni non sia emerso nulla, Filippo è stato condannato a 8 anni.

«Filippo non sta bene, ha bisogno di assistenza sanitaria, farmaci che l’amministrazione non gli fornisce, dovrebbe seguire una dieta specifica, ma allo spaccio del carcere può comprare solo scatolame e insaccati», racconta la madre di Filippo a la Repubblica che sottolinea come anche la Farnesina abbia rilevato diverse incongruenze nella condanna del 29enne. «Mi ha raccontato che una detenuta si è suicidata e altri spesso tentano di fare lo stesso. Ho paura che si faccia o gli facciano del male», aggiunge. Preoccupata anche Claudia Crimini, la fidanzata del giovane. «È sempre più stanco, nervoso, depresso, sembra che non gli importi più di nulla. È chiuso in una cella sporca con trenta persone, invasa da ratti e insetti, autorizzato a fare una sola doccia a settimana, senza una coperta», dice la ragazza che oggi tornerà a trovarlo. L’udienza per ottenere gli arresti domiciliari, chiesti dai legali di Filippo, sarà 12 febbraio. Ad aprile inizierà il processo d’appello. La famiglia, intanto, denuncia di sentirsi abbandonata dalle istituzioni: «Ho provato più volte a scrivere all’ambasciata, ma è stato tutto inutile. Mi hanno solo chiesto di scrivere altre email. Ci hanno spiegato di non poter intervenire nel procedimento ed è normale. Ma non hanno assistito neanche ad un’udienza. Sarebbe stato un segnale importante, ma ci hanno lasciato da soli».

“La richiesta di far rientrare i detenuti italiani nelle carceri di Paesi esteri per espiare la pena nelle carceri italiane (o con le pene alternative previste) non può non tenere conto della situazione di sovraffollamento dei nostri istituti penitenziari vicina al 130 per cento”. Ad affermarlo è Aldo Di Giacomo, vice segretario generale Osapp (Organizzazione sindacale autonoma di Polizia penitenziaria). Che precisa: “Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha convocato al Quirinale il capo del Dap, Giovanni Russo, per esprimere tutta la sua preoccupazione per i 13 suicidi di detenuti che si sono verificati nel solo mese di gennaio, una cifra record, in questa occasione ha rinnovato l’allarme per i detenuti in continuo aumento. Secondo le cifre più aggiornate dal Ministero della Giustizia sono 62.707 di cui 2.541 donne, a fronte di 51 mila posti disponibili, con un trend di crescita di 400 persone al mese. Invece, secondo l’ultimo Annuario statistico de Ministero degli Esteri, a novembre 2022, i detenuti italiani all’estero erano 2.058 fra quelli in attesa di giudizio, i condannati e quelli in attesa di estradizione. Per aggiornare al 2023 il numero è salito oltre i 2.600 (i dati in nostro possesso aggiornati al 31 gennaio 2024 ci dicono che sono 2663)”.

Continua Di Giacomo: “Più del 35 per cento sono persone non ancora condannate, in attesa di estradizione o di giudizio. Oltre l’80 per cento degli italiani detenuti all’estero si trova in carceri europee, prime tra tutte quelle tedesche che ne ospitano ben 1.079. Seguono le prigioni spagnole (458), quelle francesi (231), belghe (202), del Regno Unito (192) e della Svizzera (131). Negli Stati Uniti troviamo 91 connazionali detenuti, in Venezuela 66, in Perù 58, in Brasile 54, in Colombia 30. Sono 30 anche quelli presenti nelle carceri australiane. Tra Asia e Oceania ne troviamo 55”.

“Sono dati che rilevano la complessità della questione che tra l’altro diventa ancora più complessa per l’assenza quasi totale di trattati-intese tra Italia e Paesi extraUe, nonostante si ripeta l’annuncio di trasferire detenuti stranieri nei Paesi d’origine, mentre per i Paesi Ue nonostante numerose sentenze della Corte di Giustizia Europea sono molto rari i casi di detenuti italiani all’estero trasferiti in carceri italiane – conclude -. Per questo riteniamo che la questione vada affrontata con la serietà dovuta in un Tavolo interministeriale (Giustizia-Esteri-Interni) e coinvolgendo il sindacato di polizia penitenziario che da tempo chiede l’ampliamento degli organici tenuto conto che le nuove unità di assunzioni annunciate dal Ministero non coprirà nemmeno il numero del personale in pensionamento”.

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