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Negando la malattia, senza ospedali e cura chi dà fastidio viene buttato in carcere. In 24 ore sono quattro i detenuti che si sono tolti la vita in cella

Sono stati quarantaquattro i suicidi in carcere nel 2024 contro i 28 dello stesso periodo dello scorso anno. In crescita anche i tentati suicidi (877 contro 821), le aggressioni al personale di Polizia penitenziaria (881 contro 688), le manifestazioni di protesta collettive (599 contro 440), i ferimenti ( 286 contro 264) e le colluttazioni (2.203 contro 2.055). I detenuti sono complessivamente 61.468, a fronte di 47.067 posti regolarmente disponibili, per un indice di sovraffollamento pari al 130,59 per cento. Fin qui i numeri.

In 24 ore sono quattro i detenuti che si sono tolti la vita in cella a Sassari, Ariano Irpino, Biella e Teramo. E in proiezione il 2024 rischia di essere l’anno col dato peggiore, se si pensa che il record precedente del 2022 è di 84 suicidi totali.

I drammi continui dicono che la situazione nelle carceri italiane non solo è critica, ma va peggiorando. Sul tema è intervenuto ora anche il Consiglio d’Europa, che ha chiesto all’Italia di prendere misure urgenti. Ma il governo Meloni fa muro a ogni proposta e soluzione che possano ridurre la pressione sugli istituti penitenziari.

Nella giornata di venerdì 14 giugno si è tolto la vita un detenuto 38enne del carcere di Ariano Irpino, in provincia di Avellino. L’uomo si è impiccato in serata usando i propri vestiti e il suo decesso è stato il sesto in otto giorni nelle carceri della Campania. Nei giorni scorsi aveva aggredito alcuni agenti e dato segni di instabilità, quelli che il sindacato di polizia Uilpa ha definito «segni evidente di un disagio mentale», ma nonostante questo il detenuto è stato lasciato solo, senza cure e assistenza.

Nella tarda serata di venerdì in Piemonte, a Biella, un detenuto 45enne si è tolto la vita impiccandosi. Quello di Biella non è un istituto qualunque, ma è la perfetta sintesi di tutto il male che può racchiudersi oggi nelle carceri italiane. Il carcere piemontese è stato definito “il più sedato d’Italia”, visto che qui otto detenuti su dieci assumono psicofarmaci, segno del disagio collettivo in cui si sprofonda in questi luoghi. E sempre Biella è sotto i riflettori della magistratura, dal momento che 23 agenti sono sotto indagine per violenze e abusi nei confronti dei detenuti. Nonostante questo, continuano a lavorare nell’istituto, visto che poche settimane fa la Cassazione ha dichiarato inammissibile la loro sospensione.

Che la situazione delle carceri italiane sia particolarmente critica se n’è accorto anche il Consiglio d’Europa. Nelle scorse ore ha chiesto al governo italiano «di adottare rapidamente ulteriori misure e a garantire adeguate risorse finanziarie aggiuntive per rafforzare la capacità di prevenire queste morti», dal momento che quanto fatto finora si è rivelato inefficace. Un appello condiviso dall’associazione Antigone, che ha chiesto di intervenire con provvedimenti che riducano la pressione sulle carceri e che migliorino le condizioni di vita al suo interno, come la liberalizzazione delle telefonate (oggi ai detenuti sono concessi solo dieci minuti di chiamata a settimana).

Ma il governo Meloni continua a fare muro. Il ddl presentato da Roberto Giachetti (Iv) per tamponare nel breve termine l’emergenza carceri con le liberazioni anticipate rischia l’affossamento, mentre dall’esecutivo promettono solo misure a lungo termine come un nuovo decreto carceri che non prevede sconti di pena e la costruzione di nuovi istituti penitenziari nelle caserme dismesse. Sullo sfondo, vengono introdotte nuove fattispecie di reato che non fanno altro che riempire ulteriormente le carceri, come successo per gli istituti minorili dopo il decreto Caivano, dove il numero di presenze è aumentato del 30 per cento in un anno.

E il nuovo ddl sicurezza in discussione alle commissioni, che tra il reato di rivolta in carcere, una stretta sulle droghe (compresa la “cannabis light”) e un ampliamento del ricorso alla custodia cautelare (di cui l’Italia è già prima in Europa) potrebbe dare il colpo di grazia all’utopia di avere carceri in linea con la Costituzione italiana, lì dove si dice che la pena non può corrispondere in trattamenti inumani e degradanti.

Domani i garanti regionali, provinciali e comunali delle persone private della libertà manifesteranno in tutta Italia e diffonderanno un appello rivolto alla politica e al Governo per interventi urgenti contro il sovraffollamento e i suicidi nelle carceri. Tre mesi fa sul tema il Presidente della Repubblica aveva invitato la classe politica italiana ad adottare con urgenza misure immediate per allentare il clima di tensione che si respira nelle carceri italiane, causato principalmente dal sovraffollamento, dalla carenza del personale e dall’inefficienza dell’assistenza sanitaria intramuraria.

“Con grande preoccupazione, la Conferenza nazionale dei Garanti delle persone private della libertà constata, ancora una volta, la sostanziale indifferenza della politica rispetto all’acuirsi dello stato di sofferenza dei detenuti, rispetto al peggioramento delle condizioni di vivibilità delle nostre carceri che, lungi dal consentire “quell’inveramento del volto costituzionale della pena”, continuano a tradire i basilari principi costituzionali, europei ed internazionali, su cui regge lo stato di diritto e a umiliare continuamente la dignità umana delle persone ristrette”. Così in un passeggio del documento firmato dai garanti. Per la Conferenza nazionale è indispensabile che il legislatore individui, immediatamente misure, anche temporanee, volte ad alleggerire la tensione sulla popolazione carceraria.

Nel documento della Conferenza nazionale dei Garanti si legge tra l’altro: “È urgente partire dalla discussione e dall’approvazione di misure deflattive del sovraffollamento, facilmente applicabili, come quella contenuta nella proposta dell’on. Giacchetti, quale primo firmatario, volta a modificare l’istituto della liberazione anticipata e a prevedere uno sconto di ulteriori trenta giorni a semestre per i prossimi due anni, rispetto a riduzioni già concesse dal 2016 ad oggi (30+45). È necessario adottare un modello di esecuzione penale che si allontani il più possibile dalla visione carcero centrica del sistema punitivo. Cosa che sarebbe già possibile, a legislazione vigente, tramite una maggiore fruibilità da parte delle persone ristrette di misure alternative alla detenzione: al 10 giugno 2024 sono 23.443 le persone con un residuo pena al di sotto dei tre anni, di cui 7.954 con un residuo pena al di sotto di un anno; sono 1.529 i detenuti che hanno una pena inflitta da 1 mese a 1 anno”.

Per i garanti è fondamentale far sì che il carcere cessi di essere quel luogo di “desertificazione affettiva”, dando immediatamente seguito alla decisione della Corte costituzionale con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma dell’ordinamento penitenziario che vieta in carcere lo svolgimento di incontri affettivi intimi e riservati. È necessario inoltre aumentare le telefonate e i giorni dei permessi premio, perché questo rappresenta un ulteriore modo per tutelare l’intimità degli affetti dei detenuti.

Particolare attenzione poi deve essere riservata alle persone con dipendenze, che al 10 giugno 2024 risultano essere 17.405 nelle carceri italiane. Risulta necessario incrementare per loro le misure alternative in comunità terapeutiche, ma anche ai detenuti stranieri, presenti in 19.304 al 10 giugno, che faticano più degli altri a vedersi tutelati i propri diritti fondamentali all’interno del carcere, ad avere accesso a prestazioni socioassistenziali e che, per lo più, versano in condizioni di povertà sociale assoluta.

Attenzione specifica deve essere rivolta alla condizione alle persone affette da disagi psichici gravi che, pur avendo diritto ad accedere in una Rems, si trovano a scontare la pena in carcere, per via delle ancora troppo lunghe liste di attese per tali strutture riabilitative. Sono 38, al 10 giugno, le persone in lista d’attesa, attualmente in carcere, per una Rems.

In questo quadro i garanti pongono l’accento sul fatto che nelle carceri italiane avviene suicidio ogni tre giorni. “I suicidi – sostengono – sono sia il prodotto della lontananza della politica e della società civile dal carcere sia della mancanza di figure sociosanitarie e di ascolto negli Istituti, considerando che chi si suicida o tenta il suicidio, nella maggior parte dei casi sono coloro entrati da poco tempo in carcere o che dovrebbero uscire, ma non vengono accompagnati in questa fase”.

“Il sovraffollamento ha creato condizioni inumane. Indignarsi – le parole di Samuele Ciambriello, portavoce della Conferenza nazionale dei garanti delle persone private della libertà e garante campano delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale – non basta più. I numeri sono agghiaccianti e in estate peggioreranno. Le carceri ormai sono diventate bombe ad orologeria con miccia corta. Il Governo, la politica, la magistratura di sorveglianza, l’Amministrazione penitenziaria e la società civile devono fare la propria parte per far fronte a questa emergenza”.

 

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