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No, caro Prandini, il Mc Donald’s non rappresenta l’italianità e nemmeno la nostra biodiversità

Si chiama “I’m lovin’ it Italy” e fin qui tutto bene, se non fosse che quel già conosciutissimo jingle – “I’m lovin’ it” – ci fa risuonare nelle orecchie un altrettanto nome noto: McDonald’s, esatto! E cosa c’entra l’Italia? Facendo un rapido calcolo assolutamente nulla, tranne qualche buona campagna di marketing con qualche sparuto pezzo di Parmigiano o di Asiago per comporre la “selection” del momento.

mcdonaldE ora, a tambur battente, con quel I’m lovin’ it Italy, McDonald’s presenta una nuova piattaforma di comunicazione che celebrerebbe i quasi 40 anni “di impegno e investimenti in Italia” (già in ottobre scorso, in realtà, Mc Donald’s annunciava il suo ingresso nella filiera italiana).

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Un percorso di valorizzazione del Made in Italy che parte da lontano e si concretizza grazie a investimenti crescenti e un consolidato legame con il comparto agroalimentare italiano, si legge.

A sugellare una simile intesa? Coldiretti, che – volendola dire tutta – non è nemmeno nuova a questi fatti. Già nel 2018, infatti, insieme avviarono un progetto nella filiera italiana della carne bovina, per “garantire uno standard qualitativo ancora più elevato nel rispetto del benessere degli animali” (al 2021 sono stati inclusi nel progetto oltre 1.000 allevamenti, che diventeranno 4mila entro la fine del 2023).

PrandiniLa piattaforma I’m lovin’ it Italy è stata presentata in occasione dell’evento “Dare valore all’Italia: i protagonisti del Made in Italy a confronto sul valore delle filiere e dei territori”, che ha visto tra gli altri la partecipazione di Ettore Prandini, presidente Coldiretti, che ahinoi si è lasciato andare con questo commento:

C’è stato una distorsione di chi ha ingannato le popolazioni. Perché Mc Donald’s è partito come fast food. Ma poi è diventato un vero e proprio ristorante che rappresenta l’italianità, le nostre eccellenze e la nostra biodiversità.

E noi valorizzeremo sempre questi modelli virtuosi come Mc Donald’s.

Perché Mc Donald’s ha scommesso a suo tempo, in momenti di crisi, su alcune nostre DOP dandoci fiducia e visibilità con la pubblicità. Questo ha portato una positività economica di alcune filiere in crisi che va assolutamente comunicata.

Un’altra cosa importante. La collaborazione con Mc Donald’s ha dato riscontro positivo sul prodotto, sulla sostenibilità, sul benessere animale ma anche sulla redditualità per le nostre imprese.

“Le parole sono importanti e noi queste non possiamo condividerle”, tagliano netto da Slow Food. E come darle torto, perché un accordo con un colosso del fast food all’americana non può essere letto come un percorso socio-culturale che potrebbe traghettarci verso l’eccellenza del Made in Italy e nemmeno verso la valorizzazione della biodiversità o del benessere animale.

L’eccellenza del cibo italiano è il frutto di saperi artigianali, culture, competenze diffuse, suoli sani, bellezza e diversità dei paesaggi, produttori che hanno storie da raccontare, che difendono e migliorano i loro territori, scrive Slow Food.

La biodiversità è la diversità delle specie e delle varietà vegetali, delle razze animali; degli insetti impollinatori, dei microrganismi che rendono vivo il suolo, dei saperi che stanno alla base di migliaia di pani, formaggi, salumi… È la diversità della vita, probabilmente l’unica ricchezza che ci permetterà di affrontare la crisi ambientale e climatica. Va presa molto sul serio, quindi. Non c’entra nulla con operazioni di marketing per italianizzare, con l’aggiunta di ingredienti locali, una formula gastronomica che rappresenta quanto di più standardizzato l’industria alimentare globale abbia mai concepito.

E quanto alla italianità? Anche questo è un termine fuori luogo. Slow Food ricorda che il nostro Paese si trova al quarto posto in Europa per obesità infantile, superata solo da Cipro, Grecia e Spagna, il che vuol dire che di base si segue ancora un’alimentazione squilibrata a base di bevande zuccherate e cibi iperprocessati, ricchi di sale, conservanti, additivi.

Quando il sistema alimentare compromette la salute delle persone, dei suoli, delle acque, se vogliamo davvero occuparci di sovranità alimentare, dobbiamo associare il concetto del “made in Italy” a modelli realmente virtuosi, e non ridurlo a un mero slogan. La sostenibilità si raggiunge attraverso strade diverse, attraverso il coraggio di invertire un modello alimentare che sta generando disastri ambientali e sociali, che sta ricacciando i piccoli produttori di qualità ai margini del mercato e minando le fondamenta della sicurezza alimentare per le generazioni presenti e future.

Non piace, quindi, e non piace nemmeno a noi a dirla tutta, accostare sacrosante parole come “sostenibilità” a chi per anni, e ancora adesso, non ha mai saputo di dove fosse di casa, la sostenibilità. E non può bastare una fetta di formaggio per classificare un panino come simbolo di italianità, se dietro a tutto il resto ci sono hamburger, patatine e salse varie cui vengono unite sostanze chimiche per farli durare più a lungo.

La narrazione che distorce il significato delle parole rischia di confondere ancora di più i cittadini, anziché aiutarli a fare scelte basate sulla consapevolezza delle ricadute sulla salute e l’ambiente.

Esattamente così.

Germana Carillo (GreenMe)

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