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“Non è una crisi delle persone migranti, è una crisi gestionale”

Hasni Abidi spiega perché “stiamo vivendo uno dei periodi più difficili per le persone migranti”. © Olivier Vogelsang

La firma di un protocollo d’intesa esterno tra l’Unione Europea e la Tunisia, lo scorso luglio, ha ravvivato il dibattito pubblico e politico sulle implicazioni delle politiche dell’UE nella regione nordafricana, in particolare per quanto riguarda l’esternalizzazione delle frontiere e la gestione dei flussi migratori.

Sulla carta, il protocollo si concentra sul consolidamento dei rapporti bilaterali, attraverso aiuti economici e piani d’azione collaborativi in settori come la migrazione.

Tuttavia, presenta anche dilemmi etici: firmandolo, l’UE stringe una collaborazione con un governo tunisino noto per le sue pratiche autoritarie e le violazioni dei diritti umani. Inoltre, il protocollo d’intesa rimane vago sui modi concreti in cui l’Unione sosterrà finanziariamente il Paese per contenere i flussi migratori.

A inizio ottobre, il presidente tunisino ha rifiutato una prima tranche di aiuti europei da 60 milioni di euro, definendo l’importo “mera carità”. Il prossimo esborso previsto dovrebbe ammontare a 67 milioni di euro.

Il protocollo fa eco a un precedente accordo in materia di migrazione esterno tra la Confederazione Svizzera e la Tunisia, siglato nel giugno 2012, sotto un altro governo tunisino e in un diverso contesto geopolitico.

Tuttavia, entrambi i documenti presentano dei parallelismi, che sollevano il problema di come i Paesi europei possano gestire il delicato equilibrio tra controllo della migrazione e diritti umani, soprattutto quando collaborano con Paesi terzi retti da governi autoritari.

SWI swissinfo.ch ha parlato con Hasni Abidi, politologo specializzato nella regione del Medio Oriente e Nord Africa presso l’Università di Ginevra, per capire come questi accordi influenzino le politiche migratorie in Svizzera, nell’UE e in Nord Africa.

Questa esternalizzazione dei confini è una politica migratoria giusta?

No, perché, in ultima analisi, decidere delle richieste di asilo al di fuori dei confini è molto difficile. Chi si incarica della decisione? In questo caso, si tratta di una gestione per procura. Da un lato, se i e le richiedenti asilo non possono presentare i loro dossier né alle ambasciate all’estero né in Svizzera al momento dell’arrivo, è inevitabile che, dal punto di vista legale e umano, alcune delle persone che chiedono asilo per motivi umanitari e politici vengano trattate come normali migranti. D’altro canto, la Svizzera sa bene che la gestione di questi immigrati e immigrate da parte di altre entità, siano essi l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) o i centri per immigrati nei Paesi di transito, ridurrebbe l’onere per le frontiere svizzere.

Riammissione, respingimento, rimpatrio volontario: dove si può tracciare una linea di demarcazione tra costrizione e possibilità di scelta per chi arriva nel nostro Paese?

Effettivamente c’è molta confusione e ambiguità nella terminologia. Credo che sia una cosa voluta, per consentire ai Governi e ai ministeri degli Interni di interpretare le questioni legate all’immigrazione a seconda dei propri interessi. Io dico sempre che quella in atto non è una crisi delle persone migranti, è una crisi gestionale. C’è un’accelerazione nel ritmo degli spostamenti interni ed esterni, delle richieste di asilo, dell’immigrazione e simili, e Governi e strumenti legali non sono stati in grado di adattarsi. Ovviamente esisterebbero anche dei limiti invalicabili, come la questione dei rimpatri forzati, che sarebbero illegali ma vengono praticati ancora oggi.

Definizioni
I programmi di riammissione non hanno un impatto limitato, che spesso non porta altro che a un aumento temporaneo dei tassi di ritorno da Paesi terzi?

Purtroppo, le politiche pubbliche di molti Paesi occidentali sono dettate da agende elettorali, mediatiche e partitiche. Non rientrano in una visione politica né in una strategia a medio o lungo termine. In definitiva, i Governi vogliono dare una risposta pratica e immediata. La Svizzera ha preceduto l’UE nella firma di un accordo di riammissione con la Tunisia. Credo che l’UE abbia letto bene quell’accordo prima di firmarne uno simile con la Turchia, la Libia e poi, recentemente, la Tunisia.

Secondo la risoluzione 1741 (2010) del Consiglio d’Europa, gli Stati firmatari di questi accordi devono avere un sistema di asilo solido e garantire il rispetto dei diritti umani. La Tunisia, nel 2012 come oggi, soddisfa questi criteri?

Amal Mekki

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