Peraltro, la richiesta della Fondazione Gimbe di eliminare la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie «sinora non è stata presa in considerazione dal Governo, né sostenuta con vigore e costanza dalle forze di opposizione». Eppure, sostiene Cartabellotta, ce ne sarebbero ottime ragioni, oltre al già citato “effetto paradosso”.
Per esempio, il Clep, vale a dire il Comitato istituito per determinare i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), non ha ritenuto necessario definirli per la materia “tutela della salute” in quanto esistono già i Lea, ai quali tuttavia non corrisponde alcun fabbisogno finanziario. «Una pericolosissima scorciatoia – commenta il presidente della Fondazione Gimbe – rispetto alla necessità di garantire i Lep secondo quanto previsto dalla Carta costituzionale: infatti, senza definire, finanziare e garantire in maniera uniforme i Lep in tutto il territorio nazionale è impossibile ridurre le diseguaglianze tra Regioni».
Inoltre, le maggiori autonomie richieste da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto ne potenzieranno le performance sanitarie, indebolendo ulteriormente quelle delle Regioni del Sud, incluse quelle a statuto speciale. Alcuni esempi: la maggiore autonomia in termini di contrattazione del personale provocherà, secondo la Fondazione, una fuga dei professionisti sanitari verso le Regioni in grado di offrire condizioni economiche più vantaggiose, impoverendo ulteriormente il capitale umano del Mezzogiorno, mentre le maggiori autonomie sul sistema tariffario rischiano di aumentare le diseguaglianze nell’offerta dei servizi e favorire l’avanzata del privato. «Ecco perché suona autolesionistica e grottesca – commenta Cartabellota – la posizione favorevole all’autonomia differenziata dei presidenti delle Regioni meridionali governate dal Centro-destra, dimostrando che gli accordi di coalizione partitica prevalgono sulla tutela della salute delle persone».
C’è poi da considerare che tutte le Regioni del Mezzogiorno, eccetto la Basilicata, si trovano insieme al Lazio in regime di Piano di rientro, con Calabria e Molise addirittura commissariate, status che impongono una “paralisi” nella riorganizzazione dei servizi. «Contrariamente agli entusiastici proclami sui vantaggi delle maggiori autonomie per il Meridione – spiega Cartabellotta – nessuna Regione del Sud oggi può avanzare richieste di maggiori autonomie in sanità».
Infine, sottolinea la Fondazione, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) persegue il riequilibrio territoriale e il rilancio del Sud come priorità trasversale a tutte le missioni. «In tal senso l’impianto normativo del Ddl Calderoli – sostiene il presidente Gimbe – contrasta proprio il fine ultimo del Pnrr, occasione per il rilanciare il Mezzogiorno, teso ad accompagnare il processo di convergenza tra Sud e Centro-Nord quale obiettivo di crescita economica, come più volte ribadito nelle raccomandazioni della Commissione Europea».
Insomma, secondo Cartabellotta, «al di là di accattivanti slogan e illusori proclami è certo è che l’autonomia differenziata non potrà mai ridurre le diseguaglianze in sanità, perché renderà le Regioni del Centro-Sud sempre più dipendenti dalle ricche Regioni del Nord, le quali a loro volta rischiano paradossalmente di peggiorare la qualità dell’assistenza sanitaria per i propri residenti. Ovvero, l’autonomia differenziata per la materia “tutela della salute” non solo porterà al collasso la sanità del Mezzogiorno, ma darà anche il colpo di grazia al Ssn, causando un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti. Stiamo di fatto rinunciando alla più grande conquista sociale del Paese e a un pilastro della nostra democrazia solo per un machiavellico “scambio di cortesie” nell’arena politica tra i fautori dell’autonomia differenziata e i fiancheggiatori del presidenzialismo. Due riforme che – conclude Cartabellotta – oltre ogni ragionevole dubbio spaccheranno l’unità del Paese Italia».