Lunedì 5 luglio 1982, poco dopo le ore 17.00 all’ “Estadio de Sarriá” di Barcellona, la Nazionale di Enzo Bearzot affronta il Brasile di Zico e Junior, Falcão e Cerezo e del dottor Sócrates, che il Selezionatore tecnico Telê Santana ha scelto come capitano. Gli Azzurri devono per forza vincere, per qualificarsi alle semifinali del Mondiale che conquisteranno l’11 luglio grazie al trionfo sulla Germania sancito dall’urlo di Tardelli. Al 12′ del primo tempo, dopo il vantaggio iniziale di Paolo Rossi, Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira (questo il suo nome completo) beffa Zoff sul suo palo per il gol del momentaneo pareggio. Vincerà l’Italia per 3 a 2 grazie alla tripletta di Pablito, nonostante la seconda marcatura dell’ottavo re di Roma, Paulo Roberto Falcão.
Quattro anni prima in Argentina vince la squadra di casa, favorita dagli arbitraggi sotto la dittatura dell’anticomunista Jorge Rafael Videla. Nonostante tutti fossero al corrente degli orrendi crimini contro l’umanità che si stavano perpetrando nel Paese del terrore, i governi di mezzo mondo mandano comunque le loro squadre al Mondiale. “Il mondo può finalmente vedere la vera immagine dell’Argentina” dichiara il presidente della FIFA João Havelange. Mentre si gioca, gli aerei della morte sorvolano gli stadi prima di gettare in mare i desaparecidos, con la benedizione delle autorità religiose. Gli olandesi perdono la finale con dignità, senza salutare i capi della dittatura.
Nel 1982 con un’assurda azione di guerra i militari argentini provano ad occupare le isole “Malvinas” o Falkland, nelle mani degli inglesi da un secolo e mezzo. E’ l’inizio della fine della dittatura argentina, dopo il fallimento della missione. Passano altri quattro anni e in Messico la sfida questa volta è soltanto calcistica: Diego Armando Maradona, che ha tatuato Che Guevara sul braccio destro e Fidel Castro sulla gamba sinistra, con la mano di Dio ma soprattutto con i suoi piedi d’oro, batte l’Inghilterra e fa vincere il Mondiale all’Argentina. Nel ’90 al discusso campione che delizia le platee d’Italia con il Napoli, dopo aver raggiunto i compagni con volo privato a Mosca per la gara di Coppa Campioni con lo Spartak, viene consentito di entrare da solo nella piazza Rossa per firmare autografi ai militari sovietici che presidiano la zona col filo spinato.
Il calcio e la politica da sempre si intrecciano: la DDR e le squadre dell’Est europeo spesso figlie del regime, l’esercito di Ceauşescu e Helmuth Duckadam, portiere para-rigori della Steaua di Bucarest che misteriosamente perde l’uso delle mani all’apice della carriera. Ma anche gli anni Settanta in Italia con il Perugia di Castagner e del comunista contestatore Paolo Sollier di Avanguardia Operaia, il Bologna di Gigi Radice con cui si può discutere di Craxi e Berlinguer, e quello di Renzo Ulivieri già iscritto negli anni Sessanta al Partito Comunista Italiano, che invita i calciatori a presenziare alle feste dell’Unità. Così anche il brasiliano Sócrates con la sua Democrazia corinthiana, un’ organizzazione di squadra non gerarchica da lui promossa nonostante la dittatura imperante.
Sócrates deve il nome a suo padre Raimundo, che legge molto anche se non può studiare date le sue povere origini e si innamora dei classici greci. Il figlio va a scuola e all’università, ottiene la laurea in medicina e la mette da parte, per giocare a calcio. Prima di trasferirsi in Italia con la Fiorentina, veste in patria le maglie di Botafogo e Corinthians, quando ritorna di Flamengo e Santos, la stessa di Pelé. Si ritira dal calcio nel 1988 ed esercita la professione di medico. Nessuno è perfetto, il suo vizio è l’alcool che lo porta pian piano alla morte, nel dicembre del 2011. Domenica, proprio come aveva annunciato anni addietro, nel giorno in cui il Corinthians vince il suo quinto titolo nazionale.