Il massimo organo della giustizia amministrativa accoglie, per la prima volta in materia di immigrazione, un’azione collettiva (class action) contro la Pubblica amministrazione.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza del 20 settembre 2024, n. 7704, accoglie, per la prima volta in materia di immigrazione, un’azione collettiva (class action) contro la Pubblica amministrazione (in particolare la Prefettura di Milano) per i gravi e sistematici ritardi nella definizione della procedura di emersione ex art.103 d.l. n. 34/2020, conv. in l. n. 77/2020.
Un’azione, quella di cui agli artt. 1 ss. del D.lgs. 20 dicembre 2009, n. 198, finalizzata a “ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio”, promossa da Asgi, Oxfam, Cild, Spazi circolari, Naga e oltre ceto cittadini stranieri ed italiani, con il supporto di Attiva Diritti e sostenuta da un ampio collegio di avvocati: oltre che da quelli in procura, da Gennaro Santoro, Giulia Crescini, Valeria Capezio, Nicola Datena, Giulia Vicini, Maria Teresa Brocchetto, Francesco Mason, Benedetta Tonetti, Pietro Di Stefano.
Il Consiglio di Stato conferma la sentenza n. 2949/2023 del Tar Lombardia e, dopo aver affermato la piena legittimazione delle associazioni del settore a presentare questo tipo di azione, condanna la Pubblica amministrazione per il ritardo maturato nella gestione delle domande di emersione, ribadendo il principio giurisprudenziale secondo cui il termine massimo per concludere la procedura di emersione non può mai superare i 180 giorni.
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La mancata conclusione dei procedimenti di emersione entro il termine di 180 giorni non può essere giustificabile. I diritti e gli interessi dei ricorrenti sono stati violati.
Il ritardo è stato grave e sistematico e ha assunto, a parere dei giudici di Palazzo Spada, “proporzioni di vero e proprio “fenomeno” di diffusa e cronicizzata mala gestio amministrativa”, tali per cui la sentenza del Tar Lombardia di accoglimento del ricorso non poteva che essere confermata.
Nello specifico, in presenza di adeguate risorse finanziarie, come nel caso della procedura di emersione per la quale sono stati stanziati mezzi economici ad hoc, l’inefficienza della Pubblica amministrazione non può essere giustificata da presunte difficoltà derivanti dall’elevato numero di domande o dalla presunta presenza di numerosi tentativi di falsificazioni. Anzi, il Consiglio di Stato chiarisce che, nella gestione delle procedure di regolarizzazione delle persone straniere, le misure correttive – di tipo organizzativo, semplificatorio ed acceleratorio – sono state intempestive, cioè “tardivamente adottate” dalla Pubblica Amministrazione solo dopo la diffida presentata ex art. 3 del D.lgs. n. 198/2009, mentre avrebbero dovuto e potuto essere adottate “ab origine o quanto meno…prima della presentazione dell’odierno ricorso”.
La sentenza è di fondamentale importanza anche perché, come anticipato, conferma la legittimazione e l’interesse ad agire delle associazioni del settore, chiarendo che l’azione collettiva contro l’inefficienza dell’azione amministrativa “recepisce una istanza di tutela di ordine trasversale, che intercetta – laddove la situazione di inefficienza cui essa si prefigge di rimediare assuma carattere costante e generalizzato – una molteplicità di singole procedure amministrative, debordando dai limiti di una specifica e circoscritta inerzia (rimediabile, eventualmente, con lo strumento ex artt. 31 e 117 c.p.a.) … [trattandosi di uno] strumento congegnato in modo da incidere sul fenomeno di inefficienza complessivamente considerato, previo apprezzamento delle sue effettive dimensioni e delle sue concrete ragioni, anche mediante l’uso di poteri decisori particolarmente penetranti e di carattere innominato (eventualmente utilizzabili dal giudice adito in sede di ottemperanza), rafforzati negli effetti dagli obblighi comunicativi di cui agli art. 4, commi 3 e ss., e 5, comma 2, d.lvo cit.”.
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Il Consiglio di Stato, dunque, ricorda che l’azione collettiva (c.d. class action) ha una funzione lato sensu sanzionatoria (di condotte violative di obblighi di azione derivanti dalla legge o stabiliti in applicazione della stessa) e correttiva e che, quindi, in definitiva, rappresenta un prezioso strumento per ripristinare il corretto funzionamento della pubblica amministrazione anche nel settore del diritto dell’immigrazione.
Questa importante sentenza lancia un messaggio che incoraggia il ricorso alle azioni collettive strategiche da parte di un crescente gruppo di soggetti della società civile che vedono nei ritardi e nelle inadempienze della Pubblica amministrazione uno snodo cruciale della sistematica violazione dei diritti delle persone straniere, ma non solo.
Un precedente fondamentale, che parrebbe cambiare anche il passo rispetto al precedente orientamento del Consiglio di Stato che, secondo un precedente indirizzo, aveva assunto un’interpretazione molto restrittiva dell’azione in parola e che invece oggi stigmatizza la disfunzione amministrativa in modo netto ed inequivocabile.
I gravissimi e sistematici ritardi del ministero dell’Interno (nella specie delle sue articolazioni: Prefetture e Questure), nel rilasciare alle persone straniere documenti imprescindibili per il loro vivere quotidiano, provocano gravissimi danni, quali, solo a titolo esemplificativo, la perdita del lavoro, la mancata iscrizione al Servizio sanitario, l’impossibilità di esercitare i diritti sociali collegati alla titolarità del permesso. Ritardi che finiscono per collocare sempre più spesso le persone straniere in una condizione di marginalità sociale, che poi diventa, inevitabilmente, “materiale” di propaganda politica.
I promotori di questa class action si augurano che questa sentenza sia un monito per la pubblica amministrazione affinché i termini di conclusione dei procedimenti amministrativi siano sempre rispettati, evitando discriminazioni sistematiche a svantaggio delle persone italiane e straniere socialmente ed economicamente più vulnerabili.
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