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La Spagna non incorona l’illegalità

L’abdicazione di Juan Carlos I è giunta inaspettata, in quanto il re aveva sempre affermato di non essere fatto per abdicare. Ma per molti spagnoli e per molti osservatori non  si è trattato di una sorpresa. La monarchia in Spagna è in crisi, così come molte altre istituzioni spagnole. Secondo un recente sondaggio di opinione, meno della metà degli spagnoli approva la monarchia e il 62 per cento voleva che il re abdicasse. In effetti, l’indice di popolarità della monarchia è il più basso di sempre dal ritorno della democrazia nel 1977.

Perché il re prima era popolare? Soprattutto perché era identificato con il ritorno della democrazia. Ha giocato un ruolo importante nella costruzione di una nuova democrazia dopo essere diventato re nel 1975, alla morte del dittatore Franco. Questa popolarità si consolidò con l’aiuto che egli diede alla sconfitta di un nuovo colpo di stato nel 1981, apparendo in televisione come Comandante in Capo ed ordinando a tutti i soldati che avevano preso parte al tentativo di rientrare nelle loro caserme.

Perché quindi la monarchia ha sofferto una tale perdita di legittimazione negli ultimi anni? Ci sono numerose ragioni. Prima di tutto è macchiata dalla corruzione, così come numerose altre istituzioni pubbliche della nazione. Il genero del re, Iñaki Urdangarín, è sotto processo per frode fiscale e sua moglie Cristina, l’Infanta di Spagna, figlia del re, è sotto indagine per appropriazione indebita, per lo stesso filone di indagini. Il tasso di popolarità del re è stato anche fortemente influenzato dallo scandalo scoppiato due anni fa, quando si ruppe un’anca durante un safari segreto, ‘riservato a milionari’, in Botswana. Durante quel viaggio uccise un elefante e si fece ritrarre in posa di fronte alla sua carcassa per una foto che doveva restare privata e che divenne invece virale. Una terza ragione risiede nell’erosione della legittimazione di partiti politici ed istituzioni pubbliche in Spagna, inclusa la monarchia, come risultato della crisi economica e dell’adozione di un pacchetto di austerity neo-liberale da parte dell’attuale governo conservatore.

Le ragioni addotte dal re per la sua abdicazione erano prevedibili. Ha detto che voleva lasciare il passo ad una nuova generazione che possieda l’energia giusta per affrontare i difficili momenti che verranno. Il suo successore, Felipe, ha 46 anni ed è sposato ad una cittadina comune e divorziata, che diventerà la prima Regina non appartenente alla nobiltà nella storia della corona spagnola. Questo, ed il loro stile di vita relativamente frugale e democratico, saranno più intonati alla società spagnola contemporanea. Soprattutto, non sono macchiati da nessuna forma di corruzione. Felipe ha anche vissuto in prima persona le questioni di stato e politiche, fin dalla tenera età: suo padre lo tenne al suo fianco lungo tutti i negoziati sul tentato colpo di stato del 1981.

In ogni caso, Felipe VI (come verrà chiamato), affronterà sfide impegnative in quanto personificazione reale della nazione nei mesi a venire. Probabilmente la sfida più difficile sarà la minaccia di secessione della Catalogna. È infatti previsto un referendum per il 9 novembre, organizzato dal governo catalano, anche se privo dell’approvazione del Parlamento spagnolo.

Il nuovo Re dovrà anche gestire l’erosione di legittimità della monarchia e la crescita della spinta repubblicana. Non va dimenticato che la restaurazione della monarchia nel 1975 fu attuata all’interno della ‘legalità Franchista’. Gli spagnoli hanno votato per la Repubblica e contro la Monarchia nel 1931, ed il nonno di Juan Carlos, Alfonso XIII, fu costretto ad abdicare. La legalità repubblicana fu distrutta dalla salita al potere dei militari nel 1936 e dalla Guerra Civile che ne seguì, nella quale Franco acquisì il suo potere e costituì la dittatura. La democrazia ripristinata nel 1977 non fu quella di una Seconda Repubblica, anche se la nuova forma di stato fu approvata dalle elezioni del 1977 e dal referendum sulla nuova Costituzione Spagnola dell’anno seguente. Fu un accordo democratico raggiunto dopo impegnativi negoziati e mercanteggiamenti con le élite Franchiste politiche e militari, pronte ad accettare il cambiamento, ma in cambio di qualcosa. Quel prezzo da pagare, sostengono alcuni osservatori, fu troppo alto. Da allora, l’equilibrio del potere è cambiato radicalmente, in modi che non si riflettono nella Costituzione.

Il significato dei risultati delle elezioni europee in Spagna si può ricondurre al fatto che i partiti che mirano ad abolire la monarchia, o alla separazione territoriale dallo Stato, hanno ricevuto più voti di ciascuno dei due partiti storici che hanno dominato un sistema largamente duale per circa quarant’anni. E di quei voti, almeno il 18 percento è andato a quei partiti che vorrebbero sostituire la democrazia del 1977 con una nuova democrazia, i cui parametri però sono tuttora nebulosi.La nuova ondata repubblicana è in parte il rifiuto dei termini della transizione verso la democrazia, un rifiuto, in breve, della legalità attuale. Ma essa è soprattutto alimentata dalla crisi economica e dal modo in cui i diversi governi l’hanno gestita. Ciò si riflette nel risultato delle recenti elezioni europee. I voti per il Partito Socialista e per il Partito Popolare sono  ridotti ai minimi storici, 22 e 25 percento rispettivamente, mentre la Sinistra radicale ha conquistato quasi il 18 percento dei voti, ed i partiti separatisti nazionalisti e regionalisti sono arrivati al 9 per cento. La caratteristica più notevole di questi risultati è nell’inaspettato successo di un partito formatisi solo pochi mesi fa: Podemos, emerso dalle multiformi attività degli Indignados e del Movimento 25M, simile ai movimenti ‘Occupy’ sorti altrove, lanciato con una massiccia dimostrazione a Madrid il 25 maggio 2011.

Sebastian Balfour Professore Emerito di Contemporary Spanish Studies della London School of Economics and Political Science

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