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Yemen, armiamoli a telecamere spente

Quando un conflitto sparisce dai radar dell’informazione mainstream non significa che sia finito, semplicemente non interessa più farne un caso di politica internazionale. Questa rimozione ha interessato l’Afghanistan dove si continua a combattere nel disinteresse dell’opinione pubblica degli stessi Paesi coinvolti e sta succedendo per lo Yemen.

Secondo un report di Oxfam sono aumentati del 25% i civili uccisi negli ultimi 3 mesi, sono 1.100 nel 2019, più di 3 al giorno, sono decine di migliaia dall’inizio del conflitto. Donne e bambini rappresentano il 76% dei 3,6 milioni di sfollati interni. Vittime “collaterali” di armi prodotte principalmente in Gran Bretagna, USA, Francia, Italia e Iran. Medici Senza Frontiere denuncia attacchi anche alle strutture sanitarie.

Nel frattempo cresce l’emergenza colera, si cono superati i 2 milioni di casi sospetti in meno di 3 anni: in media quasi 80 persone ogni ora. Nel 2019 in 1 caso su 4 ha colpito bambini sotto i 5 anni. 18 milioni di yemeniti sono esposti al contagio per mancanza di acqua pulita e servizi igienico-sanitari, 2 su 3 sono senza assistenza sanitaria di base, 14 milioni sull’orlo della carestia.

A causa dei bombardamenti al momento solo il 50% degli ospedali e dei centri medici del Paese è in funzione. Combattimenti violentissimi si sono svolti il 18 novembre a Tahita nel sud del Paese, nella provincia di Hondeidah dove i ribelli Houti, appoggiati dall’Iran, hanno bombardato le infrastrutture portuali. Solo in questa città si continua a morire con una media di 75 vittime a settimana.

Il 20 novembre un attacco sul mercato di Al-Raqw, nel distretto di Monabbih a Sa’ada, ha causato la morte di 10 civili e il ferimento di altri 18. L’Italia, in un mercato che vede volumi giganteschi, ha autorizzato la vendita ad Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti (due dei soggetti in partita nel conflitto Yemenita) per 1 miliardo e 363 milioni di euro. Della moratoria votata lo scorso giugno dal Parlamento sulla vendita verso questi Paesi non vi è più notizia.

La storia dello Yemen è costellata di conflitti e divisioni. Dopo molti anni di instabilità, nel 1990 lo Yemen del Nord e lo Yemen del Sud decisero di riunirsi in un unico stato, con San’a che diventa la nuova capitale. Viene eletto Presidente Ali Abdullah Saleh, alla guida dello Yemen del Nord fin dal lontano 1978. Nel 2012, a seguito delle rivolte nella parte meridionale del paese in quella Primavera araba che sconvolse molti paesi islamici, Saleh rassegna le dimissioni e al suo posto arriva il sunnita Abd Rabbuh Mansur Hadi, con il compito di guidare per due anni lo Yemen fino a nuove elezioni.

Per il timore da parte della minoranza sciita che le elezioni sarebbero potute essere rimandate sine die favorendo il regno del sunnita Hadi, nel febbraio 2015 il gruppo armato sciita degli Huthi, proveniente dal Nord del paese, conquista la capitale San’a e costringe alle dimissioni il presidente Hadi che si rifugia a Sud ad Aden, che così diventa una seconda capitale dello Yemen.

Da quel caos si arriva a un paese diviso, ancora una volta, in due: a Nord ci sono gli sciiti con il governo di Saleh nella capitale San’a, mentre a Sud nella città di Aden si è insediato il Presidente spodestato Hadi, l’unico riconosciuto dall’Occidente e dalle Nazioni Unite. A questo quadro, già di per se allarmante e tragico, si aggiunge il fatto che alcune aree del Paese sono sotto il controllo di Al qaeda presente in Yemen già nel 1998 e, più recentemente, di formazioni afferenti al fantomatico Stato Islamico o ISIS o Daesh come lo definiscono gli arabi.

In tutto questo c’è da registrare il fatto che, mentre il Nord dello Yemen è schiacciato dall’embargo a medicine e generi di prima necessità, nel Sud si sta sviluppando una economia di guerra che ha punte di vera e propria prosperità come nel caso della città di Marib. Prima della guerra aveva 40mila abitanti, oggi più di un milione.

Queste persone arrivano da ogni parte dello Yemen e principalmente da Ovest ancora in mano ai ribelli sciiti armati dall’Iran. E’ una umanità varia quella che ha finito per creare dal nulla una vera e propria città. C’è chi scappa senza più nulla e trova riparo nei 31 campi profughi sistemati ai margini della città ma c’è anche l’esodo di una classe media yemenita formata da imprenditori, avvocati, professori e giornalisti che fuggono da un governo, quello degli Houthi, repressivo e soffocato da quattro anni di scontri feroci con la coalizione sunnita.

A Marib si sono subito attivati interessi internazionali, specialmente da parte della Cina, che ha approfittato della situazione per costruire infrastrutture civili in un’area di grande interesse strategico come è il Sud dello Yemen. Ancora una volta lo schema si ripete. Da una parte la popolazione civile che si fa carico delle sofferenze derivanti dai conflitti, dall’altra la speculazione internazionale che su queste sofferenze prospera e fa affari. Il tutto, come si diceva all’inizio, nella totale indifferenza della stampa internazionale dove stentano a trovare spazio anche gli accorati appelli lanciati periodicamente dalle organizzazioni umanitarie operanti sul terreno.

 

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