Attualità

Tu chiamali, se vuoi, Paperoni

È la legge del capo. O, se gradite, la “sindrome del cumenda”. Il mondo cambia, il calcio dovrebbe adeguarsi, ma la regola antica e un po’ fantozziana del “signorsì” al presidente di turno è dura a morire.

Il caso Milan-Allegri è soltanto l’ultimo (brutto) atto della commedia pallonara all’italiana. Cast: un capo-che-più-capo-non-si-può, Silvio Berlusconi, che da un quarto di secolo si diverte a fare, oltre che il patron, anche l’allenatore ad interim della sua squadra-giocattolo; un manager manovratore, Adriano Galliani, nella scomoda veste di chi deve eseguire gli ordini del capo provando a non sembrare sempre e solo un fotocopiatore, ma quanto meno un interprete; infine un allenatore, Massimiliano Allegri, che ha minestrato alla grande la pietanza che gli era stata data quest’anno, portando al terzo posto in campionato una squadra alla quale, in estate, era stato sottratto un bel mucchio di primattori (Ibrahimovic, Thiago Silva, Cassano, Seedorf, Gattuso, Nesta). Un po’ come togliere Lennon e Mc Cartney, e continuare a chiamarsi Beatles…

Da tempo, il capo e l’allenatore non si prendono, non si stimano, non si amano. Il Cavaliere, tra battute e smentite (un classico del suo repertorio) non fa che crocifiggere a giorni alterni il suo giovane dipendente. A fine campionato il divorzio sembra fatto, comincia un tira e molla infinito e – con Adriano il manovratore in veste di mediatore – una cena nel principato di Arcore chiude la contesa e copre i dissidi con un velo di diplomazia tanto sottile quanto trasparente (dal bunga bunga al burka burka). Allegri resta al Milan, e il comunicato finale che lo suggella è un trionfo architettonico di pace armata. Presidente, manager e tecnico – si legge – hanno parlato di diritti e doveri reciproci da rispettare (sic!) e del gioco che il Milan dovrà praticare in campo. Ohibò. Bisognerà dare nuova linfa al repertorio (già consumato da tempo) delle battute sul presidente che fa la formazione e sull’allenatore che la mette in campo.

Ora, buttarla sempre e solo sul vil denaro può essere banale e desolante, ma mettiamoci nei suoi panni (quelli di Allegri): tre anni fa guadagnava 100mila euro all’anno al debutto in serie A col Cagliari. E già non se la passava male. Adesso, tre milioni e mezzo a stagione. Chi di noi, al suo posto, starebbe lì a sottilizzare e a rivendicare orgogliose autonomie professionali?

E soprattutto, la fauna presidenziale del football nostrano non offre opzioni molto migliori. Fuori dal calcio sono tutti capitani d’industria, imprenditori di successo, industriali illuminati. Nell’universo pallonaro scatenano il peggior fanciullino che è in loro: quando va bene sono furbacchioni, quando va male furfanti, passando per arroganti, invadenti, incompetenti e capricciosi. La serie A offre davvero di tutto, nei tanti vizi e nelle poche virtù: Massimo Cellino (Cagliari) si è fatto tre mesi di patrie galere per le operazioni spericolate legate allo stadio di Quartu, e ora si consola con la sua passione, la chitarra (brano preferito “Jailhouse rock”); Aurelio De Laurentiis (Napoli) insulta la stampa, gioca a concedere conferenze stampa via twitter ai tifosi, promette di comprare altre tre squadre di calcio all’estero e intanto precetta i giocatori (a loro insaputa) come attori del suo prossimo cine-panettone natalizio (ciak, si gioca); Maurizio Zamparini (Palermo) è retrocesso in serie B dopo aver inventato la panchina palindroma: quest’anno ha avuto come allenatori Sannino-Gasperini-Malesani-Gasperini-Sannino. Se leggete da destra a sinistra, è lo stesso. Tanti cambi da non capirci più nulla, e precipitare. E Massimo Moratti (Inter) che, alla faccia del fair play finanziario invocato dalla Uefa di Platini, fa fatica a far quadrare i conti del giocattolo di famiglia, sfoglia la margherita dopo 18 anni di presidenza per decidere se cedere o no a un magnate indonesiano alcune quote dell’amato club nerazzurro (rogito, ergo sum).
Loro, i Paperoni, si divertono così, forti della regola di ferro: mai a rischio, mai colpevoli, mai esonerabili. Allegri, dunque. Fino al prossimo giro. Ops.

Foto di copertina: Paolo Cipriani. Testo: Gigi Cavone

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