Diritti, Sport

Uccisi per aver guardato una partita di calcio

La fase finale della Coppa delle nazioni asiatiche 2015, che si disputa in Australia dal 9 al 31 gennaio, osserva oggi il primo giorno di riposo. Domani cominceranno i quarti con Corea del Sud-Uzbekistan e Cina-Australia, venerdì si contenderanno la qualificazione alle semifinali prima Iran e Iraq in un confronto carico di contenuti extra-calcistici, poi Giappone ed Emirati Arabi. Non so ancora cosa penserò, quando tra qualche ora assisterò ad una di quelle gare in tv, costretto a farlo per lavoro ma contento di farlo per passione: forse a quando ero bambino ed aspettavo impaziente il momento di una qualunque partita alla televisione, quasi certamente a chi non è stato fortunato come me.

Il quotidiano britannico Daily Mail ha da poco diffuso la triste notizia secondo la quale l’ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e al-Sham) avrebbe ucciso con una esecuzione in pubblico a colpi di mitragliatrici 13 ragazzini iracheni, colpevoli soltanto di aver guardato una partita di calcio della loro nazionale in televisione. La gara in questione è proprio una della fase a gironi di Coppa d’Asia, in particolare quella del 12 gennaio scorso tra l’Iraq e la Giordania, terminata 1 a 0 grazie al gol di Yaser Kasim al 77’ che ha regalato l’ultima gioia alle giovani vittime di un massacro sconcertante.

A Mosul nel quartiere di al-Yarmuk, i giovani sarebbero stati catturati e giustiziati dai jihadisti, che avrebbero annunciato con un megafono il crimine commesso, per aver violato la shari’a (la legge islamica). Un gruppo di attivisti denominati Raqqa is being slaughtered silently, che cerca di documentare l’oppressione dell’Isis nei confronti della loro città, scrive sul suo sito che “i cadaveri sono rimasti esposti a terra e i genitori non hanno potuto recuperarli per timore di essere uccisi dai jihadisti”, secondo quanto riportato pure dall’ANSA.

Il condizionale è d’obbligo in questi casi, perché non arrivano conferme o smentite da fonti più che attendibili, imparziali. La notizia, apparsa fin da subito verosimile, ha fatto comunque il giro del mondo in poche ore e riacceso il dibattito: ma si può davvero considerare un crimine per gli islamici guardare una partita di calcio in tv? Per il saudita Abdul Rahman al-Barrakil calcio è la madre di tutti i peccati”. La Legge di Dio (shari’a in senso metafisico) deve essere identificata e interpretata dalla scienza giurisprudenziale islamica (in chiave pragmatica e più strettamente giuridica).

Andrea Luchetta della Gazzetta dello Sport affronta il problema del dibattito sulla purezza religiosa del calcio: il pallone è haram (cioè proibito da un punto di vista religioso) oppure halal (quindi lecito)? Dopo gli attentati in Francia di pochi giorni fa milioni di persone hanno mostrato solidarietà per Charlie Hebdo e tutto l’Occidente, con conseguente sdegno e odio verso gli affiliati di Al-Qaeda ed il mondo islamico. Per noi occidentali, abituati a dimenticare ogni giorno le morti quotidiane dall’altra parte del mondo che non ci appartiene, tutto ciò fa invece orrore se accade vicino a noi. Il falso problema della religione riesce così ancora una volta a nascondere il vero problema di una cultura e di una violenza, non naturale, dell’essere umano che ha perduto la capacità di immaginare l’altro.

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